Rendere la gestione del sistema qualità più efficiente si può

Pile of File FoldersLa norma UNI EN ISO 9001, rivoluzionata nel 2000 e leggermente ritoccata nel 2008 si appresta ad essere nuovamente revisionata nell’edizione 2015, ma in nessuna di queste edizioni viene indicato come gestire al meglio il sistema di gestione per la qualità, ovvero come renderlo più efficiente. Ciò è ovvio perché la norma descrive requisiti di conformità e di efficacia, mentre l’efficienza dei processi e del sistema stesso è argomento di altre norme (ad es. UNI EN ISO 9004), non di certificazione.

È innegabile che molti hanno imputato al sistema qualità ISO 9001 la colpa di creare una sovrastruttura documentale alle attività dell’azienda, rallentandone così l’operatività ed incrementandone i costi di gestione. Da un lato, però, l’esistenza di un documento (ad es. una procedura o un documento di pianificazione) e la necessità di registrare un controllo o un’attività svolta porta sicuramente al miglioramento della qualità complessiva dei processi e dei prodotti, soprattutto nell’ottica di ridurre considerevolmente i rischi che si presentino eventi indesiderati. Dall’altro, viceversa, le modalità di gestione di documenti e registrazioni possono portare ad inefficienze nella gestione del sistema qualità stesso o, peggio ancora, dei processi e delle attività che si intende monitorare.

Per questo motivo è opportuno mantenere il sistema di gestione per la qualità costantemente aggiornato sia dal punto di vista normativo, sia dal punto di vista delle modalità di gestione  del sistema stesso. Sotto quest’ultimo aspetto occorre tener presente sia l’aderenza delle procedure e delle modalità operative di raccolta ed elaborazione delle registrazione ai processi reali, sia l’efficienza degli strumenti impiegati per attuare le procedure stesse.

Se un’azienda certificata ha applicato una modalità operativa per documentare e monitorare un determinato processo o attività, con il passare del tempo probabilmente questa attività o processo è mutata per vari motivi e gli strumenti sono diventati obsoleti o perlomeno ne esistono di più efficienti. Concentriamoci, in quest’articolo, su quest’ultimo aspetto: gli strumenti di gestione del sistema qualità.

I temi principali per coloro che devono riprogettare o mantenere aggiornato ed efficiente un sistema di gestione per la qualità sono certamente i seguenti:

  • Gestione dei documenti, dei dati e delle registrazioni;
  • Gestione delle risorse;
  • Gestione degli audit;
  • Gestione delle azioni correttive  preventive;
  • Gestione delle non conformità;
  • Misura della qualità e riesame del sistema da parte della direzione;
  • Comunicazione interna;
  • Monitoraggi e  controlli su processi e prodotti.

Naturalmente molte attività di gestione del sistema qualità trarrebbero immensi benefici in termini di efficacia ed efficienza dall’impiego di un prodotto software specifico per la gestione del sistema qualità, dalla gestione dei documenti di sistema, quali manuale e procedure, alla gestione degli audit. Ne esistono di vari tipi, alcuni abbracciano anche funzioni di controllo della qualità in produzione, altri permettono di gestire attività proprie solo della funzione qualità, alcuni sono applicativi web funzionanti da “qualsiasi postazione” tramite una connessione ad internet, altri sono  software stand-alone, oppure in rete client-server, gestibili dal responsabile qualità.

La scelta di un applicativo specifico, ovviamente, dipende dalle esigenze dell’azienda, dai programmi software preesistenti, dal budget disponibile, ecc..

Anche non volendo indirizzarsi verso programmi software specifici è però possibile ottenere notevoli miglioramenti e risparmi di risorse interne.

Gestione dei documenti, delle registrazioni e Comunicazione interna

La gestione di manuale, procedure e istruzioni di sistema può trarre grandi benefici dall’impiego di un vero e proprio sistema di gestione documentale informatizzato, in grado di tenere sotto controllo le revisioni dei documenti e la distribuzione degli stessi, ma anche applicazioni gestite attraverso una intranet o un sito web aziendale possono fungere allo scopo. Personalizzando siti web gestiti mediante Content Management System (CMS) anche gratuiti, quali WordPress, Joomla o altri, si possono ottenere ottimi risultati, non solo nella gestione dei documenti e registrazioni (manuale, procedure, verbali, prospetti,…), ma anche nella comunicazione interna relativa ai loro aggiornamenti e, quindi, nella partecipazione e formazione del personale relativamente al sistema qualità.

Online Stock TradingLa comunicazione aziendale tramite bacheche virtuali, blog e wiki aziendali o addirittura veri “social network aziendali” aiuta molto la condivisione degli obiettivi e dei risultati e la partecipazione dei dipendenti e dei collaboratori esterni alla vita del sistema qualità.

Tutto ciò può avvenire riducendo enormemente l’impiego di documenti cartacei, eliminando per quanto possibile le stampe e garantendo ugualmente le autorizzazioni e le approvazioni dei documenti attraverso i sistemi di autenticazione disponibili negli applicativi utilizzati, magari supportati da sistemi di firma digitale veri e propri.

Gestione delle risorse

La gestione di hardware e software aziendali, piuttosto che la manutenzione di macchine ed attrezzature o la taratura degli strumenti di misura può essere gestita con semplici database relazionali oppure con applicazioni specifiche reperibili sul web a costi molto contenuti se non nulli.

La gestione della formazione-addestramento del personale può anch’essa essere svolta più proficuamente – rispetto a modulistica cartacea o singoli file di Word stampati quando necessario – con database Access o piccole applicazioni web, eventualmente integrati con le altre funzioni di gestione della qualità. Anche la registrazione delle riunioni e degli eventi formativi interni può essere resa maggiormente efficace tramite tool appositi per la gestione delle riunioni, la gestione dei materiali didattici e via dicendo.

Gestione degli audit

Gli audit interni e quelli di terza ed eventualmente di seconda parte (del cliente) possono essere gestiti molto efficientemente attraverso database o micro-applicazioni che consentano di tener traccia anche dei follow-up, ovvero della gestione dei rilievi (correzione non conformità, azioni correttive  preventive).

AuditChecklistSe il numero di audit interni è significativo, se essi devono essere svolti anche presso “cantieri” o unità esterne, magari con l’impiego di check-list abbastanza strutturate, allora esistono applicazioni specifiche per la gestione degli audit in mobilità (tramite tablet, palmare o smartphone) dal costo ed impatto molto contenuti, che possono far risparmiare molto tempo nella raccolta delle evidenze sul campo e nella rielaborazione dei rapporti di audit.

Gestione delle non conformità

Il database delle non conformità di prodotto, processo e sistema, oltre che dei reclami del cliente, integrato con la gestione delle azioni correttive e preventive permette di velocizzare notevolmente il controllo ed il monitoraggio dell’efficacia di tutto il processo di gestione delle famigerate NC.

Inoltre piccole applicazioni database o software di analisi specifici (da Excel in su) possono permettere di individuare ed analizzare in modo molto efficace le cause di non conformità, i difetti più frequenti, i prodotti maggiormente difettosi, le lavorazioni più critiche, ecc., quindi elaborare analisi di Pareto, grafici, istogrammi e così via.

Gestione delle azioni correttive  preventive

Semplici database che consentano la gestione dell’intero ciclo di AC/AP, preferibilmente integrati con la gestione degli audit e con l’archivio delle non conformità possono agevolare molto il monitoraggio di tutte le azioni di miglioramento.

Lo sviluppo ed il controllo dell’avanzamento di AC e AP attraverso strumenti di comunicazione interna basati sul web – come visto in precedenza – porta notevoli benefici in termini di efficacia (miglior controllo dei risultati delle AC/AP e coinvolgimento dei responsabili della loro attuazione) ed efficienza (è necessario minor tempo per raccogliere informazioni e monitorare le AC/AP).

Misura della qualità e riesame del sistema da parte della direzione

RiunioneIl calcolo degli indicatori, la loro valutazione e la verbalizzazione del riesame della direzione possono anche esse trarre notevoli benefici attraverso software di elaborazione ed analisi dei dati come Excel e strumenti di collaborazione interna.

La misura della soddisfazione del cliente potrebbe essere svolta attraverso questionari on-line gestiti via internet con notevole risparmio di tempo sia da parte dell’organizzazione valutata sia dei clienti che, pertanto, sono maggiormente incentivati a fornire il proprio parere sulla qualità percepita.

Monitoraggi e  controlli su processi e prodotti

Ufficio discussioneLa raccolta dei dati sui controlli dei processi produttivi, dei prodotti e del processo di progettazione, di approvvigionamento e di gestione offerte può essere notevolmente snellita da sistemi informatizzati di raccolta dati in produzione (anche mediante l’impiego di tablet o altri dispositivi touchscreen, lettori di barcode, foto, video, …), sistemi di gestione documentali, strumenti di collaborazione per la gestione di progetti, riunioni, ecc..

In conclusione se la qualità “pesa” è possibile rendere più snella la sua gestione con strumenti adeguati senza diminuire le evidenze raccolte, anzi, rendere meno onerosa la registrazione delle attività può invogliare il personale a registrare quanto richiesto laddove prima si tralasciava il rispetto della procedura “per non perdere tempo”. Nel 2013 la compilazione di moduli cartacei non ha più senso salvo in determinate condizioni e neppure la gestione tramite file di Word di registrazioni di addestramenti, azioni correttive/preventive, non conformità. Questo non sarà l’auditor dell’Organismo di Certificazione a dirlo, che si accontenta di vedere la registrazione conforme alla norma, senza preoccuparsi dei mezzi impiegati per ottenerla.




Un uso efficiente della posta elettronica

EmailIn molte organizzazioni, soprattutto di piccole e medie dimensioni, è frequente notare un impiego poco efficiente  delle email, sia verso l’interno dell’organizzazione, sia verso l’esterno (clienti, fornitori,ecc.). Viceversa un uso più efficiente della posta elettronica potrebbe contribuire ad un risparmio di costi, grazie ad un impiego di minori risorse (minor tempo del personale per la gestione delle email, minori costi per risorse IT) ed ad una riduzione di rischi operativi nei processi interni (sicurezza delle informazioni in termini di perdita di riservatezza dei documenti, indisponibilità di dati e perdita di integrità oppure utilizzo errato di versioni obsolete dei documenti e così via).Ci sono due aspetti pregnanti dell’e-mail: la comunicazione che si vuole dare nel corpo del messaggio e gli eventuali documenti allegati.

Sul primo aspetto ci sono organizzazioni e/o persone all’interno di esse che utilizzano i messaggi di posta elettronica per comunicare informazioni in forma scritta, piuttosto che  comunicarle solo verbalmente (verba volant scripta manent), oppure per porre domande a colleghi, collaboratori esterni, clienti o fornitori. In questo ambito alcuni danno molta importanza perfino all’ordine con cui si citano i destinatari (indicando una gerarchia) ed eventuali soggetti in copia conoscenza (Cc) e copia conoscenza riservata (Ccn). A parte il fatto che, a seconda dello strumento utilizzato (outlook, thunderbird, lotus notes o servizi web come gmail) le problematiche di carenze di formazione del personale che utilizza la posta elettronica sono differenti, le esigenze di ogni impresa o studio professionale sono diverse. In talune piccole organizzazioni vengono addirittura utilizzati strumenti diversi a seconda delle preferenze del personale. in generale la mancanza di uno standard – definito da un responsabile competente – condiviso ed attuato da tutti, genera numerose inefficienze e quindi maggiori costi per l’azienda o studio professionale.

Relativamente al secondo aspetto sopra citato, ovvero la gestione degli allegati all’e-mail, si sta diffondendo un abuso dell’invio di allegati di notevoli dimensioni in termini di megabyte. Talvolta lo stesso documento, magari ricevuto dall’esterno, viene inoltrato a numerosi soggetti all’interno della stessa organizzazione, generando un notevole appesantimento dello storage interno dedicato alla posta elettronica e complicando le procedure di backup/restore degli archivi di posta. Oltre a ciò si rischia sempre più spesso, qualora il documento allegato sia editabile, di far circolare versioni obsolete dello stesso documento che vengono scambiate per la versione più recente da qualcuno che ha perso il filo dei messaggi di posta elettronica scambiate. I problemi tecnici non devono essere sottovalutati perché – secondo modalità differenti a seconda che la posta sia gestita internamente ad esempio attraverso un server Exchange, oppure dal provider esterno e scaricata sui singoli client – il problema di salvare, ed eventualmente ripristinare in caso di problemi, archivi di posta elettronica di alcuni Gigabyte può comportare perdita dell’integrità dei messaggi di posta elettronica con conseguente perdita di informazioni preziose.

La posta elettronica, dunque, non deve essere usata per l’archiviazione di documenti che, tra l’altro, sarebbero difficilmente reperibili dopo un po’ di tempo. Se le soluzioni interne migliori sono costituire dai sistemi di gestione documentale – oggi implementabili a costi affrontabili da quasi tutte le organizzazioni – per la corrispondenza verso l’esterno esistono molti servizi, spesso gratuiti, che permettono di scaricare gli allegati di posta elettronica superiori al limite prefissato internamente (si suggerisce di non superare i pochi Mbyte) direttamente da internet attraverso link ad indirizzi web (URL): oggi oltre a servizi noti da alcuni anni come YouSendIt e JumboMail si può sfruttare link a servizi di memorizzazione sul cloud come Google Drive, Dropbox o altri.

Poi c’è la gestione della posta sui dispositivi mobili, siano essi aziendali o personali con account aziendali, va stabilito un sistema efficace ed efficiente che permetta di mantenere traccia anche delle e-mail inviate da smartphone e tablet.

Dal punto di vista della comunicazione commerciale il layout dei messaggi di posta elettronica (caratteri, colori, sfondi e firme personalizzate) riveste la sua importanza ed utilizzare un indirizzo di posta gratuito (@gmail.com, @libero.it, ecc.) piuttosto che un indirizzo riferito ad un dominio aziendale, possibilmente legato ad un sito web attivo, potrebbe non essere la scelta più adatta per molte realtà. Infatti anche per le piccole organizzazioni (piccole e micro-imprese, studi professionali, ecc.) non gestire la posta attraverso un indirizzo collegato al proprio sito web potrebbe comunicare all’esterno un certo senso di provvisorietà e di organizzazione non particolarmente strutturata.

Non dimentichiamo, infine, gli aspetti legati alla normativa sulla privacy ed alla compliance legislativa in genere: mantenere gli archivi di posta ed i relativi dati e documenti allegati all’interno dell’azienda, su server remoti ubicati chissà dove, su dispositivi mobili o su PC fissi non è esattamente la stessa cosa. Si ricorda, infatti, che – sebbene molti servizi web siano molto più sicuri dei PC e notebook interni all’azienda – la normativa sulla privacy ed i requisiti di riservatezza necessari per determinati scopi non consentono di archiviare dati personali, ed eventualmente dati sensibili, presso server ubicati in determinati Paesi extraeuropei senza il consenso degli interessati; dunque anche semplicemente l’archiviazione dei messaggi di posta e dei relativi allegati presso servizi on-line come Gmail, Outlook.com o Yahoo! Mail non è propriamente corretta.

Sempre dal punto di vista legale occorre sempre valutare attentamente il valore legale che possiede un messaggio di posta elettronica semplice, privo di firma digitale e non trasmesso tramite PEC (posta elettronica certificata), magari inutilmente stampato (se almeno una e-mail normale identificata in un PC inserito in un sistema di posta elettronica  ben organizzato può fornire certe garanzie dal punto di vista legale, una stampa della stessa mail ha valore legale quasi nullo in assenza del corrispondente messaggio informatico).

La scelta di gestire la posta su server interno all’azienda, su server nel cloud affittato o attraverso il provider di posta, utilizzando indirizzi IMAP o POP3 diventa dunque una scelta strategica.

In estrema sintesi la gestione della posta elettronica va progettata, documentata e monitorata, affinché le scelte fatte non vengano rese vane dall’indisciplina delle persone. Tutto questo perché una gestione efficiente può far risparmiare costi all’intera organizzazione e ridurre i rischi operativi e di non conformità normativa.




Check-up azienda 360 e metodo UMIQ

Audit man with lensÈ ormai noto che il metodo UMIQ, ideato da Unindustria Bologna, è un sistema per far crescere l’azienda grazie all’innovazione ed alla qualità applicata ai principali processi aziendali, attraverso un’analisi critica e costante di:

  • Governance, strategia e cambiamento organizzativo
  • Gestione dell’informazione e dotazione ict
  • Gestione economico-finanziaria
  • Gestione risorse umane
  • Gestione mercato e vendite
  • Gestione portafoglio prodotti
  • Gestione delle operations.

Uno dei vantaggi dell’applicazione del “metodo” – come si è ampiamente trattato nel convegno “Metodo UMIQ e merito creditizio – Misurare l’innovazione e i nuovi asset immateriali nell’era post-industriale” organizzato dall’Ordine degli Ingegneri di Bologna lo scorso marzo – è quello di valorizzare i cosiddetti “asset immateriali”, siano essi sistemi ICT, know-how aziendale o competenze delle risorse umane, anche al fine di guadagnare maggior merito creditizio nei confronti degli Istituti Bancari e di altri soggetti in grado di finanziare lo sviluppo dell’impresa (Venture Capital, ecc.).

In realtà il metodo UMIQ non fa altro che mettere insieme una serie di metodologie di gestione aziendale già consolidate, magari limitate solo ad alcuni processi o attività, al fine di ricercare il miglioramento continuo dell’impresa attraverso il miglioramento dell’efficacia e dell’efficienza dei diversi processi aziendali. Ciò è perseguito soprattutto puntando su Qualità ed Innovazione, sicuramente due punti deboli di molte imprese italiane.

j0078613Purtroppo oggi numerose aziende hanno un sistema di gestione per la qualità certificato ISO 9001, ma non “vivono” la qualità nei propri processi, anche perché applicano solo procedure finalizzate a dimostrare la conformità ad una norma che, finora, è stata applicata per lo più senza assimilarne i principi intrinseci (chi conosce ed applica veramente  i 7 principi della ISO 9000?). Ma qualità vuol dire anche migliorare l’efficienza, non solo l’efficacia, dei processi; quindi significa cercare di svolgere le attività usuali a parità di efficacia, ma con minor dispendio di risorse. Per fare ciò occorre analizzare attentamente i processi e le attività e cercare possibili miglioramenti che generalmente sono possibili aumentando le competenze del personale (è ovvio che una persona più competente svolge lo stesso compito meglio ed in minor tempo di una persona meno competente nell’attività specifica) ed introducendo sistemi informatici idonei, ma non solo. Esistono, infatti, diverse metodologie – alcune di esse esposte nel manuale del metodo UMIQ – in grado di scovare gli sprechi, gli errori e le inefficienze dei processi e di eliminarli. Però bisogna fermarsi, smettere di “lavorare a testa bassa” e dedicare tempo a questi aspetti, se si vuole accrescere la competitività aziendale.

Allora occorre analizzare l’impresa a 360° in modo imparziale, esaminare tutti i processi e gli aspetti importanti e meno importanti per capire i punti di forza e di debolezza dell’azienda. Solo così si può cercare di attivare quelle azioni di miglioramento necessarie per cercare di traghettare l’azienda fuori dal periodo di recessione che stiamo vivendo con nuove forze e prospettive migliori.

La crisi che sta attanagliando il mondo intero è sicuramente più grave nel nostro Paese che altrove (una recente indagine ha segnalato l’Italia come l’unico paese OCSE in recessione fra quelli più industrializzati) e le cause di questo ricadono anche su fattori endemici: si può facilmente affermare che lo Stato ed i suoi meccanismi e rappresentanti hanno aggravato la situazione italiana, ma anche i comportamenti e gli atteggiamenti personali (si pensi a corruzione ed evasione fiscale) hanno contribuito e non da ultimo la gestione delle imprese negli ultimi decenni non ha puntato al miglioramento dell’efficienza come in altri Paesi leader.

j0078619Proprio su quest’ultimo aspetto le aziende devono investire tempo e risorse al fine di accrescere il valore dell’impresa, renderla più attraente nei confronti di eventuali investitori o finanziatori e, soprattutto, più competitiva nel mercato globale, tenendo presente che essere competitivi in un mercato non significa avere prezzi più bassi, ma avere un prodotto/servizio qualitativamente migliore al prezzo che il cliente è in grado di sostenere.

È dunque necessario fare il check-up dell’azienda per capire se e cosa si sta sbagliando, cosa si potrebbe fare meglio e cosa non si sta facendo per migliorare, esaminando tutti i processi aziendali sotto diverse ottiche, partendo dalla mission e vision aziendale, dalla strategia della direzione e dalla pianificazione strategica nel medio-lungo periodo, passando per i processi commerciali e di marketing, gli approvvigionamenti, la progettazione, la produzione, la gestione delle risorse, l’amministrazione, il controllo di gestione, ecc.. Il tutto tenendo sott’occhio i migliori sistemi e metodi per condurre un’impresa: non solo norme sulla qualità e metodo UMIQ, ma anche sicurezza delle informazioni per garantire l’operatività, compliance (sicurezza delle persone, rispetto per l’ambiente, privacy…) per evitare contenziosi e sanzioni, strumenti di controllo di gestione per conoscere costi emargini, ecc..

Il punto debole di un’impresa potrebbe essere nascosto in qualsiasi processo e potrebbe rendere vani i tentativi di ripresa dalla crisi. Qualche esempio:

  • Un’azienda abituata ad accogliere passivamente le richieste di offerta e gli ordini dei clienti si potrebbe trovare ad essere essa stessa a dover cercare i clienti e, dunque, potrebbe accorgersi di essere inadeguata dal punto di vista commerciale (immagine aziendale, depliant, sito web, comunicazione).
  • Un’azienda potrebbe trovarsi a non essere più in grado di sostenere i prezzi bassi praticati dalla concorrenza e, quindi, si trova di fronte ad un bivio: eliminare costi fissi o variabili oppure puntare su un prodotto qualitativamente migliore.
  • Alcune organizzazioni potrebbero non essere più in grado di formulare preventivi vincenti perché la crisi ha portato forti cambiamenti nelle dinamiche dei costi e non si hanno gli strumenti per capire cosa fare.
  • Alcune aziende possono trovarsi ad operare con sistemi e procedure obsolete che rendono i processi di business meno efficienti, mentre la concorrenza, sfruttando meglio le opportunità offerte dai nuovi sistemi informativi basati sul web e dai nuovi strumenti di comunicazione, le ha scavalcate in qualità del servizio e competitività dei prezzi.
  • Molte realtà si ritrovano con personale fortemente demotivato per le vicissitudini che hanno portato a gestire il periodo di crisi attraverso azioni disincentivanti (tagli del personale, demansionamenti, riduzioni di orario e di compensi, comunicazione interna inefficace, ecc.) ed ora è difficile cercare di introdurre azioni di miglioramento senza la collaborazione del personale che conosce molto bene le logiche di funzionamento dell’impresa.
  • Alcune realtà hanno continuato a lanciare un messaggio di marketing controproducente a fronte di prodotti e servizi che hanno progressivamente peggiorato la loro qualità ed i clienti stanno scappando, ma non hanno pensato a cambiare la propria immagine sul mercato attraverso il miglioramento della qualità di prodotti e servizi e la ricostruzione dell’immagine commerciale.

Quelli sopra elencati sono solo alcuni casi che si possono trovare in numerose PMI del nostro Paese, tanti altri errori vengono commessi tutti i giorni, spesso inconsapevolmente, dalle nostre imprese.

j0202091L’imprenditore, poi, non può svolgere quest’analisi da solo o con propri dipendenti perché rischia di non essere obiettivo e di non conoscere i benchmark di riferimento. Facciamo un esempio: come potrebbe individuare le proprie carenze un operatore turistico che ha sempre lavorato solo nella sua struttura, ad es. un albergo, e non ha mai viaggiato come turista per sperimentare cosa fa la concorrenza? Quanti di noi – grazie ad una buona esperienza come turisti – sono in grado di suggerire ad un albergo qualsiasi come migliorarsi solo perché siamo in grado di fare dei confronti e di valutare servizi accessori che altri forniscono, opzioni di tariffa e quant’altro? Bene, se un albergatore di una località turistica estiva dovrebbe, nei periodi in cui non è impegnato, viaggiare in strutture analoghe in altri Paesi del mondo per capire cosa migliorare, lo stesso non può fare un imprenditore di un’industria manifatturiera che

  1. non ha tempo per visitare e analizzare altre aziende dall’interno;
  2. nessuno gli farebbe vedere e vivere dall’interno la propria impresa.

Per questo motivo deve affidarsi a soggetti esterni, che dispongono di una competenza diffusa su tutti i processi ed aree aziendali, grazie a conoscenze ed esperienze in diversi settori.

Da qui nasce Check-up azienda 360, il servizio che permette al vertice aziendale di capire quali sono i suoi punti di forza e di debolezza e cosa è possibile fare per migliorarsi partendo da un check-up a 360° della sua azienda.




Come calcolare il prezzo del servizio in offerta

Ufficio notebookFacciamo seguito a precedenti articoli sul calcolo del costo del prodotto e sul calcolo del preventivo per un nuovo prodotto trattando, in questo articolo, la tematica prezzo del servizio nel preventivo-offerta. Ipotizziamo un servizio ad alto valore aggiunto per il quale l’impresa di servizi si rivolge a collaboratori sia interni (dipendenti o personale con contratto professionale), sia esterni, ingaggiati all’occorrenza per svolgere il servizio. L’identikit è quello della piccola impresa di servizi che lavora su commessa, già oggetto di una mia recente pubblicazione (“Il controllo di gestione nelle piccole imprese di servizi su commessa” edito da Franco Angeli).

Per un’organizzazione di servizi (ad es. uno studio legale o di commercialisti, una società di consulenza, società dell’ICT o di ingegneria) è molto importante sapere quanto potrebbe costare realizzare un servizio al fine di formulare un preventivo corretto e determinare qual è la soglia di prezzo al di sotto della quale non ci si può spingere nel fare l’offerta, accettando serenamente, in tal caso, di essere sconfitti da un concorrente che ha offerto un prezzo inferiore (evidentemente troppo basso).

Occorre anzitutto tener presente che il calcolo del costo del servizio dipende in prevalenza da quanto tempo il personale impiegherà a svolgere le attività previste. Questa frase fa emergere due aspetti: quanto tempo ed attività previste. Un buon preventivo necessita di un’accurata stima del tempo che si prevede di impiegare, ma anche di una corretta valutazione di tutte le attività prevedibili nel lavoro, prendendo in considerazione anche eventuali attività impreviste che potrebbero far lievitare i tempi.

In linea di principio il calcolo del costo presunto di un servizio può essere svolto con due metodi di calcolo principali:

1)      Full costing: secondo il quale il prezzo del servizio viene calcolato come Prezzo = Costi variabili + quota parte dei costi fissi + margine (o utile d’impresa).  Secondo questa visione, oltre alla logica determinazione dei costi variabili, occorre stabilire la quota parte dei costi fissi che si vuole “allocare” alla futura commessa. Tale valutazione normalmente avviene calcolando il rapporto fra i costi variabili calcolati per il servizio ed i costi variabili totali d’impresa da moltiplicare per il totale dei costi fissi oppure moltiplicando i costi variabili per un coefficiente dato dal rapporto fra il totale di tutti costi ed i costi fissi totali d’impresa.

2)      Direct costing: secondo cui il prezzo del servizio non dipende dai costi fissi, ma viene determinato tenendo ben presente l’obiettivo globale dell’impresa di coprire tutti i costi fissi con ricavi adeguati, ovvero massimizzare il Profitto = Prezzo del servizio x numero di Servizi venduti – Costi Variabili unitari x   x numero di Servizi venduti – Costi Fissi globali, supponendo – per semplicità – di vendere tanti servizi identici allo stesso prezzo e con gli stessi costi variabili. Ciò in realtà non si verifica quasi mai, però il metodo non ne risente e la formula sopra esposta è più semplice della seguente Profitto = Σ(Prezzo servizio i-esimo –  Costi variabili servizio i-esimo) – Costi fissi. Dunque si calcolano i costi diretti del servizio, si ignorano in prima battuta i costi fissi e si applica al costo diretto un margine lordo comprensivo dell’utile e di una quota di copertura dei costi fissi. L’obiettivo, rispetto al full costing, è quello di vendere più servizi.

Nel settore dei servizi oggetto del presente articolo il metodo del direct costing si fa generalmente preferire rispetto a quello del full costing per i seguenti vantaggi:

  • La determinazione della quota parte dei costi fissi da attribuire ai singoli servizi è arbitraria e potrebbe penalizzare alcune attività rispetto ad altre, rendendo le offerte meno competitive e, quindi facendo acquisire meno commesse (ottica opposta rispetto al direct costing che punta sulla quantità di servizi venduti).
  • Il calcolo dei costi fissi da allocare alle potenziali commesse è basato su dati del passato e mai come in questo momento è bene non fidarsi troppo di dati dell’anno scorso per calcolare preventivi oggi.
  • Un calcolo preciso dei costi indiretti e di struttura realmente attribuibili al servizio richiederebbe un sistema di contabilità analitica abbastanza preciso e puntuale supportato da software adeguato, cosa che raramente accade nelle nostre piccole organizzazioni di servizio.
  • In periodi di capacità produttiva non saturata, ovvero di poco lavoro (come quelli che molte imprese stanno vivendo), è meglio acquisire un maggior numero di commesse a margini inferiori piuttosto che non saturare le risorse interne.

Ma, come sopra menzionato, questo vale nella generalità dei casi e, comunque, il full costing presenta anche indubbi vantaggi per il fatto che nel calcolo del preventivo verrebbero considerati tutti i costi aziendali e, dunque, non si rischia troppo di sottostimare i costi che nascono dalla realizzazione di un servizio e, quindi, di trovarsi a fine anno con un bilancio che espone più costi che ricavi.

Ciò premesso, a mio modo di vedere, sarebbe opportuno considerare un metodo misto che consideri tutti i costi diretti del servizio e parte dei costi indiretti o comunque “semi-variabili” che nascono solo se il servizio viene effettivamente svolto. Prima di addentrarci nel metodo di calcolo del nostro preventivo è però necessario riepilogare un po’ di terminologia sui costi, perché spesso si sente far confusione sul vero significato dei vari termini citati in precedenza con qualche semplificazione. Le tipologie dei costi che riguardano principalmente la nostra analisi sono le seguenti:

  • costi variabili: variano in funzione del volume di lavoro svolto, ferma restando la capacità produttiva totale. La variabilità può essere percepita come evitabilità di un certo costo (se non sussiste la richiesta del cliente o interna) in un dato periodo di tempo;
  • costi fissi: sono costi il cui ammontare è costante al variare del volume di lavoro svolto in un intervallo di tempo definito e non breve;
  • costi diretti: compongono direttamente il servizio svolto o la commessa. Rientrano in questa categoria la manodopera diretta (o prestazioni professionali), gli acquisti di prodotti e servizi forniti da terzi (servizi subappaltati, prestazioni di collaboratori/professionisti esterni);
  • costi indiretti: sono tutti quelli non classificati come diretti, ad esempio, i costi di manutenzione, i costi dei sistemi informativi, gli ammortamenti, l’energia ed i costi generali di struttura;
  • costi speciali o specifici: si riferiscono in maniera esclusiva all’oggetto osservato; ad esempio, l’ammortamento di una risorsa tecnica usato esclusivamente per un prodotto/servizio/commessa;
  • costi comuni: sono costi non collegabili ad un unico oggetto di osservazione, come ad esempio il costo del personale del reparto IT o sistemi informativi.

Queste tipologie sono a due a due complementari. I costi variabili si contrappongono ai costi fissi, i costi diretti agli indiretti, i costi speciali (o specifici) ai comuni. Ogni costo può dunque rientrare in ciascuno dei tre gruppi, facendo parte delle varie tipologie.

Per maggiori dettagli sui diversi tipi di costo e sulle tecniche di direct e full costing si rimanda al testo “Il controllo di gestione nelle piccole imprese di servizi su commessa” edito da Franco Angeli.

Come anticipato il metodo a mio parere più corretto per il calcolo del prezzo da formulane in offerta si basa su di un metodo che recepisce il meglio da entrambe le tecniche esaminate. Naturalmente ogni metodo va adattato alla realtà specifica in esame, al suo mercato ed alla disponibilità di dati passati su costi e ricavi per altre commesse.

Di conseguenza il calcolo del prezzo del servizio dovrebbe basarsi sulla somma dei seguenti elementi:

1)      costi diretti del personale interno;

2)      costi diretti di collaboratori esterni (professionisti, personale a contratto, ecc.);

3)      costi per materiali e servizi impiegati direttamente nel servizio;

4)      spese vive per viaggi e trasferte;

5)      costi indiretti e costi specifici attribuibili al servizio;

6)      margine lordo, comprensivo di utile d’impresa e di una quota di spese generali.

Le voci da 1 a 4 rappresentano i costi variabili della tecnica del direct costing, mentre la voce 5 permette di attribuire ad ogni singolo servizio una quota di costi specifici che con la tecnica del full costing verrebbe ripartita indistintamente fra tutti i servizi. Normalmente il margine lordo viene calcolato come quota percentuale  della somma di tutti gli altri costi, facendo però attenzione che un margine del 30% calcolato sul totale dei costi non equivale ad un margine lordo del 30% nel conto economico della commessa (riprendendo l’esempio di un precedente articolo: se un servizio ha un costo di 8000 euro e vogliamo aggiungerci un margine del 15% – sugli 8000 euro – otteniamo un margine di 1200 euro, ovvero un prezzo di 9200 euro, ma a fronte di un ricavo di 9200 euro il margine reale sarà di (9200-8000)/9000=13,3%!).

Sarebbe poi buona cosa determinare un margine di rischio su ogni voce che comprenda la probabilità di verificarsi di imprevisti che possano portare a far crescere (o diminuire) le singole voci di costo. Ciò rappresenta una soluzione migliore di quella di aggiungere una quota percentuale di imprevisti al costo finale calcolato, poiché per ogni servizio il rischio di imprevisti è diverso per ogni tipologia di costo.

Passiamo ora ad esaminare le singole tipologie e voci di costo sopra esposte al fine di costruire un foglio di calcolo che ci permetta di determinare il prezzo del servizio a partire dai costi ipotizzati e di effettuare delle analisi di tipo what if  ovvero di vedere come cambia il costo ed il prezzo del servizio al variare di diversi parametri.

I costi diretti del personale interno vengono determinati in base alle ore che si pensa di far lavorare alle singole risorse moltiplicate per il rispettivo costo orario. Trattandosi di personale interno, ovvero di dipendenti e/o di collaboratori con contratto continuativo (a prescindere dalla singola forma contrattuale si tratta di personale che l’impresa ha ingaggiato per un certo numero di giornate lavorative durante l’anno e che quindi è assimilabile ad un dipendente non a tempo pieno o quasi) Il calcolo di questa voce di costo è molto semplice. L’aleatorietà di tale elemento è data dal tempo che si presume impiegherà ogni singola risorsa, visto che il costo orario è molto preciso, fatti salvi eventuali incrementi (oppure, ahimè diminuzioni) di stipendio e rideterminazione a fine anno delle giornate effettivamente lavorate al netto eventuali assenze per malattie, permessi, ferie, ecc.. Tutti questi aspetti dovrebbero già emergere se l’impresa ha implementato un sistema di consuntivazione dei costi delle commesse o, perché no, un sistema di controllo di gestione sufficientemente evoluto; in ogni caso il calcolo del costo del servizio in fase di offerta è diverso dal calcolo del costo del servizio a consuntivo, quando – a posteriori – certe ipotesi iniziali sono state confermate o meno.

Si consideri, poi, che le risorse interne, ad es. i dipendenti, da un lato costituiscono un costo fisso, nel senso che rappresentano un costo che l’impresa deve comunque sostenere anche se non vengono saturate di lavoro, dall’altro costituiscono una capacità lavorativa finita, ovvero quando sono sature o il lavoro si posticipa o si ricorre a risorse esterne.

In fase di preventivazione talvolta non si sa quando la potenziale commessa verrà acquisita (a volte passano molti mesi prima di concludere l’accordo), pertanto i costi orari al momento di svolgimento del lavoro potrebbero essere variati ed anche le risorse potrebbero non essere più le stesse, sia perché potrebbero non essere più presenti, sia perché potrebbero essere indisponibili in quanto allocate su altri lavori. Di questo fatto bisogna tenere conto nella determinazione del preventivo dei costi diretti del personale interno: se ho poche risorse interne ed al momento dell’acquisizione ed inizio del lavoro non ho la disponibilità di coloro che avevo previsto in fase di offerta (fatto più probabile se le risorse interne sono esigue), potrei essere costretto ad appaltare a risorse esterne (ad es. professionisti esterni incaricati per l’occasione) alcune attività che avevo previsto di svolgere internamente. Questo potrebbe far lievitare i costi,

  • sia perché – a parità di capacità e competenze – normalmente il costo orario di un collaboratore esterno che assoldo per una commessa specifica per un certo numero di giornate è largamente superiore a quello di un dipendente,
  • sia perché la risorsa esterna potrebbe avere la necessità di essere addestrata-formata per svolgere il lavoro, generando ulteriori costi per il personale interno.

Naturalmente il margine di aleatorietà più elevato sta nella pianificazione dell’attività, ovvero nella determinazione delle attività da svolgere e del numero di giornate od ore necessarie per ciascuna di esse. Questa valutazione dipende molto dalle capacità tecniche di chi effettua questa stima; generalmente è consigliabile consultare responsabili tecnici o responsabili di commessa che conoscono bene quali sono le dinamiche di lavori simili e quali gli aspetti indeterminati. Occorre suddividere la potenziale commessa in fasi ed attività, magari utilizzando la tecnica WBS (Work Breakdown Structure). Consiglio anche di rivedere la pianificazione delle risorse ed il calcolo relativo con coloro che sono abituati a svolgere attività simili, perché spesso i vertici aziendali ed il personale orientato all’aspetto commerciale non conosce tempi e costi nascosti dell’operatività. Ovviamente quanto più si hanno a disposizione dati sufficientemente precisi su servizi simili, quanto più tale stima sarà attendibile. Per dati su servizi già svolti non intendo solamente tempi e costi rilevati, ma anche i cosiddetti Return of Experience (Ritorni di Esperienza), ovvero tutte quelle problematiche e possibili miglioramenti che sono emersi in servizi analoghi svolti in precedenza, magari per il medesimo committente o con la medesima tecnologia (ad es. nel caso di sviluppo software).

I costi diretti di collaboratori esterni richiedono maggiore attenzione perché per certe attività potrebbero essere determinati come per il personale interno moltiplicando una tariffa oraria o giornaliera per il tempo effettivamente impiegato per svolgere l’attività (costi a consuntivo), mentre per altre il costo è determinato in maniera forfettaria dal collaboratore esterno o professionista, previa offerta dello stesso (costo a forfait). Se in quest’ultimo caso il valore del costo a preventivo dovrebbe essere più preciso, occorre considerare che spesso non c’è la possibilità di richiedere un preventivo formale al fornitore, perché i tempi sono ristretti oppure perché non si hanno elementi sufficienti sul lavoro da svolgere affinché il fornitore sia in grado di formulare una stima dei propri costi forfettaria. Non escludiamo poi il fatto che l’impresa non voglia coinvolgere in questa fase il professionista esterno per non divulgare notizie sull’opportunità commerciale o perché non è in grado di definire a chi affidare parte del lavoro

In generale la ripartizione delle attività fra risorse interne e risorse esterne è un aspetto significativo della pianificazione del servizio al fine di redigere l’offerta: per certe attività il ricorso a collaboratori esterni è predefinito, se non si dispone di certe professionalità all’interno dell’organico (è il caso di alcuni specialisti per servizi di ingegneria o di programmatori in determinati ambienti di sviluppo software), mentre per altre la scelta fra personale interno od esterno dipende dalla disponibilità di risorse interne. Come già accennato in precedenza tale aspetto dipende dal periodo temporale in cui si svolgerà il servizio.

Il margine di incertezza nella pianificazione precisa dell’attività determina un fattore di rischio importante sia per i costi del personale interno, sia per quello del personale esterno, infatti attività aggiuntive ed una stima dei tempi di realizzazione del servizio sottostimata porteranno ad un maggior numero di ore impiegate per svolgere il servizio. Di conseguenza si avranno maggiori costi per il personale interno e generalmente anche per i collaboratori esterni laddove tali imprevisti non sono stati assorbiti da un’offerta forfettaria da parte del soggetto esterno. Tale eventualità è poco frequente, pertanto occorre analizzare attentamente le offerte dei professionisti o altri collaboratori esterni e ribaltare le medesime specifiche e limitazioni anche nella proposta tecnica al cliente, se possibile.

È appurato che quanto più il servizio si svolgerà secondo i canoni prefissati in offerta, tanto più il preventivo dei tempi e dei costi sarà azzeccato. A consuntivo è oltremodo utile esaminare tutti gli elementi che hanno portato a non rispettare i tempi ed i costi pianificati per il servizio (il già accennato Return of Experience previsto in alcuni schemi per la qualità del software come il CMMI), infatti una sottostima degli impegni delle risorse – spesso determinata dalla “voglia di prendere la commessa” – non è la sola causa di commesse con costi che hanno eroso gran parte del margine lordo; anche un servizio svolto in modo non efficiente porta spesso a consuntivare costi molto maggiori del previsto. Gli errori più frequenti commessi dai responsabili di commessa, project manager e direttori tecnici che portano ad impiegare maggior tempo del previsto sono i seguenti:

  • svolgere un servizio in modo “frettoloso” per concluderlo al più presto per la “smania di fatturare”;
  • affidare compiti importanti a personale non adeguatamente preparato a svolgerli senza fornire idonea formazione;
  • assegnare attività a personale non qualificato, benché meno costoso;
  • non documentare in modo adeguato tutte le specifiche- contrattuali e non – del servizio, non portando a conoscenza di tutto il gruppo di lavoro tutte le informazioni necessarie per il corretto svolgimento delle attività;
  • non riesaminare e verificare in modo adeguato i risultati intermedi delle attività, rischiando così di dover ripetere due volte attività svolte in modo non corretto (ad esempio sviluppo di moduli software);
  • gestire in modo inadeguato il rapporto con il cliente che, deve certamente essere soddisfatto, però non può influenzare negativamente l’efficienza del servizio con richieste non giustificate contrattualmente.

Nella stragrande maggioranza dei servizi oggetto del presente articolo il costo dei materiali impiegati per la realizzazione del servizio ed i servizi specifici acquistati costituisce una percentuale non significativa nel budget di commessa, ma in ogni caso vanno considerati tutti i costi straordinari per materiali di consumo e prodotti utilizzati solo per il servizio in oggetto. In questa categoria rientrano le licenze per software impiegato per lo sviluppo nell’ambito della commessa specifica di cui si sta formulando l’offerta, strumenti di misura e relative tarature straordinarie per il lavoro specifico, chiavi di protezione hardware, materiale di cancelleria in quantità non usuale, ecc.. Anche alcuni servizi specifici quali trasporti, fotocopie e stampe mediante plotter rientrano in questa categoria.

Le suddette voci di costo vanno debitamente considerate come costi del servizio e non attribuite alle spese generali al fine di un corretto calcolo dei costi del servizio, sia  preventivo che a consuntivo.

I costi per viaggi e trasferte (rimborsi chilometrici, biglietti ferroviari ed aerei, taxi, vitto e alloggio) possono essere stimati con ragionevole attendibilità, ma risentono fortemente dal numero di viaggi/uomo che si pensa di effettuare, a volte bastano una o due riunioni aggiuntive presso la sede del cliente con tutto o quasi il gruppo di lavoro per far sforare il preventivo di questa voce di percentuali considerevoli.

Spesso il cliente non accetta costi di trasferta a consuntivo e rimborsi a piè di lista, però bisogna evidenziare in offerta che parte dei compensi richiesti sono dovuti a viaggi e trasferte che vengono forfetizzati solo in termini di un determinato costo per giornata di presenza presso la sede del cliente per persona. Questo cautela il fornitore in determinati progetti di consulenza con un elevato numero di giornate di consulenza che possono essere svolte presso la sede del cliente o presso quella del fornitore (in back-office o da remoto). Infatti se il cliente sa che spenderà una certa somma in più per ogni giornata di consulenza per persona presso la propria sede probabilmente limiterà le richieste in tal senso al fine di contenere i costi.

In talune situazioni non sarà possibile od opportuno esplicitare in offerta le spese di trasferta a parte perché il committente, magari Pubblico, pretende un prezzo a corpo tutto comprese in un capitolato di gara, oppure perché si cerca di battere una concorrenza locale o comunque geograficamente molto più vicina alla sede del cliente.

Tra i costi indiretti e costi specifici attribuibili al servizio occorre includere parte delle ore del personale indiretto – ad esempio segreteria, sistemi informativi, qualità – che verranno specificatamente dedicate alla commessa. Il motivo per cui tali costi non vanno compresi nelle spese generali è che una loro equa ripartizione fra i vari servizi consente di confrontare in modo più attendibile i costi reali dei vari servizi. Per esemplificare questo aspetto consideriamo i due casi seguenti:

a)    una società di ingegneria nel settore delle costruzioni può svolgere servizi di progettazione di opere edili e servizi di direzione lavori. Mentre i primi utilizzano in modo intensivo software specifici (e costosi) per la progettazione (CAD, rendering, software di calcolo strutturale, ecc.), l’attività di Direzione Lavori impiega strumenti di misura e mezzi di trasporto per raggiungere i cantieri. Ne consegue che i costi indiretti sono molto diversi per le due tipologie di servizi.

b)   Una società di informatica che sviluppa software potrebbe avere due divisioni che realizzano prodotti di tipo differente per diversi tipi di clienti. Gli ambienti di sviluppo potrebbero essere molto diversi, richiedere in un caso l’acquisto e l’aggiornamento di software per lo sviluppo e relativo hardware per i test oppure l’impiego di software open source e PC tradizionali per il test.

Al di là delle suddette voci di costo, differenti per servizi di diverso tipo, occorre considerare l’utilizzo di prodotti e risorse specifiche per la commessa. Attenzione però a non conteggiare due volte i medesimi costi, sia come costi indiretti, sia come spese generali.

Infine dobbiamo considerare il margine di contribuzione comprensivo dell’utile d’impresa. Nell’ipotesi posta alla base della presente trattazione è necessario considerare una quota di copertura delle spese generali e l’utile lordo d’impresa.

Nella quota di copertura dei costi fissi o spese generali bisogna considerare due elementi importanti:

  • I costi commerciali della commessa;
  • I costi finanziari della commessa.

Nell’ottica di un’equa ripartizione dei costi commerciali fra tutti i servizi, occorre ad esempio tener presente che acquisire un lavoro pubblico tramite una gara pubblica è ben più oneroso che acquisire una commessa privata mediante un’offerta tecnico-economica senza oneri burocratici.

Per quanto riguarda i costi finanziari, essi talvolta dovrebbero addirittura essere esplicitati nel calcolo del preventivo, in quanto servizi di elevato importo economico con termini di pagamento particolarmente penalizzanti per il fornitore, specie nel caso di committente pubblico; essi, infatti, potrebbero mettere in difficoltà la struttura finanziaria della nostra piccola impresa. A volte è necessario ricorrere a finanziamenti ad hoc per poter realizzare il servizio e questo ha un costo per la società, questo talvolta può costituire un ostacolo quasi insormontabile.

Questo aspetto spesso non viene considerato nel calcolo del preventivo, ma se i pagamenti del committente ritardano (cosa molto frequente di questi tempi) la nostra piccola impresa deve comunque assolvere ai propri impegni nei confronti dei dipendenti (ovvero pagare gli stipendi regolarmente) e dei collaboratori e professionisti esterni. Anche per questi ultimi, infatti, la pratica di saldare le loro competenze, anziché ad avanzamento del lavoro svolto, al momento dei pagamenti da parte del cliente finale, porta ad effetti negativi quali, ad esempio:

  • Scarsa motivazione nello svolgimento delle attività (il professionista preferisce svolgere prima altri lavori per i quali i termini di pagamento sono regolari);
  • Esposizione a possibili contenziosi nei quali la forza contrattuale è dalla parte del collaboratore esterno (i termini di pagamento non possono essere vincolati ai pagamenti del cliente finale);
  • Rischio di perdere il collaboratore esterno, già durante lo svolgimento della commessa o per futuri incarichi, visto che egli può ritenere, a ragione, che nel margine applicato sulla sua prestazione nella determinazione del prezzo al cliente finale è compreso il rischio di insolvenza o di ritardato pagamento del committente, come da prassi consolidata in moltissimi rapporti di consulenza. Con margini normalmente del 100% è difficile sostenere altrimenti.

In conclusione, per evitare maggiori costi in fase di realizzazione della commessa, è necessario valutare attentamente questi oneri aggiuntivi, che se ignorati porteranno solo problemi più avanti.

A questo punto il nostro foglio di calcolo per la determinazione del prezzo per il servizio ha tutti gli elementi, senza dimenticare di considerare – per determinate voci di costi particolarmente incerte – un margine di incertezza (costo minimo – massimo) che ci consentirà di calcolare il costo presunto del servizio, o meglio un range di valori all’interno del quale si colloca, con elevata probabilità, il costo del servizio.

Terminati i calcoli il prezzo d’offerta può essere rifinito con considerazioni commerciali, sconti su determinate condizioni, ecc.. Comunque ogni ulteriore modifica del prezzo è fatta a ragion veduta e fa parte del rischio, calcolato, d’impresa.

La scelta di abbassare i prezzi oltre il dovuto al fine di saturare risorse interne che attualmente stanno lavorando poco può valere fino ad un certo punto, va ponderata di caso in caso e, soprattutto non bisogna ribaltare sul personale che svolgerà il servizio le scelte di lavorare sottocosto pretendendo prestazioni impossibili dal proprio personale, rischiando di ottenere effetti controproducenti in termini di motivazione delle persone.

Anche l’esposizione corretta, precisa e trasparente dei prezzi in offerta costituisce un aspetto significativo che può far scegliere al cliente la nostra offerta rispetto a quella di un concorrente, magari più economica.

Poiché al giorno d’oggi, anche a causa della crisi, molti pensano – anche a ragione – che “tutti cercano di fregarti”, occorre prestare particolare attenzione ad un’illustrazione dei costi chiara e non ambigua, che potrebbe generare diffidenza nel committente. Ricordatevi di mettervi nei panni del vostro cliente, che potrebbe anche non conoscere a fondo la materia di cui state trattando in offerta, ma che apprezzerà più facilmente un’offerta superiore ad un’altra se ben motivata.

Purtroppo l’ingenuità di molti imprenditori e responsabili commerciali nel descrivere il proprio servizio come il migliore in assoluto, e pure il più economico, potrebbe portare effetti negativi con il cliente. A differenza dei prodotti manifatturieri, dove lo stesso identico prodotto può essere acquistato ad un prezzo inferiore senza grandi penalizzazioni dal punto di vista qualitativo (il rischio è quello di avere un tasso di difettosità maggiore di cui comunque risponde il fornitore), nel campo dei servizi il prezzo è un elemento meno importante, soprattutto per servizi molto articolati e complessi. Infatti il cliente deve capire quali prestazioni sono comprese nel prezzo e quali no.

La richiesta di molti committenti di avere offerte forfettarie, soprattutto nel campo della consulenza, espone al rischio di avere un servizio certamente ad un prezzo stabilito, ma molto “modello base”. Viceversa l’esplicitazione del numero di giornate di consulenza previste in offerta espone il cliente al rischio di dover pagare costi aggiuntivi all’esaurimento delle giornate pattuite.

È evidente, infine, che il cliente deve riuscire a capire che un servizio professionale non può costare, come tariffa oraria, come un’ora di un idraulico che è venuto ad aggiustarci il lavandino a casa, magari anche senza fattura! Quindi, nei casi di offerte con prezzi straordinariamente bass,i il cliente sarà giustamente sospettoso e se la nostra offerta è più elevata, ma molto trasparente, gli faremo aumentare i sospetti sulla concorrenza.

Qualche considerazione aggiuntiva sul caso di appalti pubblici assegnati tramite bandi di gara.

Qui, purtroppo, ci scontriamo con l’inefficienza della Pubblica Amministrazione e, spesso, anche con l’incompetenza (talvolta anche la corruzione) delle persone che preparano i bandi di gara e giudicano le offerte. Premesso ciò le offerte al massimo ribasso sono inevitabilmente un gioco al massacro, soprattutto nel settore dei servizi dove i prezzi medi non sono stabiliti correttamente.

Premesso ciò occorre precisare che le offerte straordinariamente basse spesso devono essere giustificate con calcoli analitici e motivazioni attendibili. Dunque prepariamoci a formulare un’offerta che sia poi giustificabile anche economicamente. Addirittura taluni bandi richiedono l’esplicitazione dei costi analitica, seguendo un metodo predefinito, anche in fase di gara per tutti i concorrenti. Naturalmente chi ha l’abitudine di sviluppare preventivi completi e coerenti è avvantaggiato.

Laddove la pubblica amministrazione richiede numerosi giustificativi per i costi offerti, allo scopo di individuare offerte anormalmente basse, è ovviamente più difficile, ma non impossibile, barare. Se, infatti, i costi orari del personale dipendente non sono ritocabbili a seconda delle necessità (ci sono registrazioni contabili che li attestano), per quanto riguarda i costi del personale esterno un po’ più di attenzione – e di competenza economica – da parte delle commissioni aggiudicatrici dovrebbe permettere di scoprire bugie colossali e costi orari insostenibili.

Viceversa riguardo alle giornate lavorative previste per il servizio, il committente intelligente dovrebbe sapere che – a parità di competenze e capacità personali – il medesimo lavoro non può essere svolto con la medesima qualità da due persone diverse in tempi sensibilmente differenti.

Per il resto nelle offerte tecnico-economiche per le Pubbliche Amministrazioni valgono le stesse regole che nel settore privato, con qualche vincolo in più in termini di struttura, rispondenza ad un capitolato e di lunghezza del testo. Inoltre difficilmente il prezzo potrà essere ricontrattato salvo casi particolari, dunque occorre pensarci bene a formulare prezzi troppo bassi sui quali non si potrà più trattare.




Il consuntivo delle ore del personale

RiunionePerchè è importante che determinate organizzazioni di servizi che operano su commessa si dotino di un sistema di consuntivazione delle ore e delle spese vive del personale adeguato, preciso, ma non eccessivamente oneroso per chi registra i dati?

 

Cos’è il consuntivo ore

Il consuntivo delle ore svolte dal personale interno o esterno (consulenti) o timesheet è uno strumento istituzionalizzato da molte organizzazioni che operano nel settore dei servizi (società di informatica, società e studi di ingegneria, società di consulenza, studi professionali, fornitori di servizi di assistenza tecnica, studi grafici, ecc.) per contabilizzare come viene speso il tempo del personale, che costituisce la principale voce di costo per tali organizzazioni che spesso lavorano “su commessa”.

Per effettuare un buon controllo di gestione delle commesse e, quindi, dell’intero business occorre consuntivare con una certa precisione tutte le ore lavorate da personale interno e collaboratori esterni sulla commessa. La frequenza di consuntivazione deve essere definita in funzione della durata delle commesse e dalle caratteristiche del lavoro svolto.

Oltre alle ore svolte dal personale è opportuno consuntivare con precisione anche i costi di trasferta legati all’attività (trasporti, vitto, alloggio, rimborsi chilometrici, ecc.), al fine di imputare alle commesse di competenza, ed eventualmente al cliente, ogni costo sostenuto per quell’attività.

Nel corso degli anni il consuntivo ha assunto varie forme nelle diverse realtà aziendali, passando da una compilazione completamente cartacea al formato di foglio elettronico o, nelle organizzazioni più strutturate e tecnologicamente avanzate, all’inserimento dei dati direttamente in un sistema informatico dedicato.

Infine esiste un aspetto minimale e cogente della consuntivazione dell’attività lavorativa: la rilevazione delle presenze e delle ore lavorate (e non lavorate) dal personale dipendente e dei collaboratori a progetto. Tali dati, infatti, sono essenziali per la preparazione della busta paga, a cura dell’Ufficio Personale interno oppure – più frequentemente nelle piccole organizzazioni – dello Studio di Consulenza sul Lavoro esterno.

Aspetti critici della consuntivazione

Sulla precisione e la costanza nella compilazione del timesheet hanno grande influenza aspetti psicologici e motivazionali: spesso il personale, se non adeguatamente motivato, non consuntiva tempestivamente, con precisione ed in modo completo il lavoro svolto.

I principali punti critici che compromettono un’adeguata consuntivazione delle attività possono essere così riassunti:

  • il personale non ha voglia di dedicare tempo alla consuntivazione;
  • il personale interno crede che la consuntivazione sia mirata a controllare i tempi di completamento delle attività assegnate;
  • lo svolgimento delle attività prevalentemente presso i clienti non lascia molto tempo al personale per effettuare la consuntivazione;
  • le eccessive pressioni da parte della direzione sulla consuntivazione frequente (ad esempio settimanale) con scadenze pressanti (ad esempio verso fine mese o fine anno) provoca nel personale una certa resistenza alla consuntivazione.
  • la consuntivazione delle sole attività fatturabili non mette il personale nelle condizioni migliori per una consuntivazione precisa delle ore.

Gli aspetti psicologici legati alla consuntivazione delle ore del personale devono essere accuratamente gestiti dal personale responsabile (Direzione, Project Manager, Direttori di funzione), incentivando la consuntivazione attraverso strumenti che facciano perdere il minor tempo possibile al personale e, soprattutto, attraverso l’esempio. Ciò significa che se un manager o responsabile di alto livello non inserisce sistematicamente e con precisione le ore nel sistema informativo o timesheet, difficilmente il personale subordinato sarà incentivato a farlo, oltre al danno di non avere una registrazione corretta per le ore svolte da persone di alto livello gerarchico e, quindi, dai costi orari presumibilmente elevati.

Errori dovuti a disattenzione o comunicazioni errate sono poi all’ordine del giorno, con conseguenti costi per correzioni di documenti, anche ufficiali, come buste paga e fatture al cliente. Molti errori sono evitabili con controlli e “quadrature” automatiche e riducendo al minimo le ridigitazioni da parte di persone diverse (Ufficio Personale, Studio Paghe, Segreteria,…).

La verifica della corretta “quadratura” dei dati comunicati dal personale, o inseriti nel sistema informatico, è un’attività fondamentale se si vogliono ottenere risultati attendibili. La maggior parte del lavoro potrà essere demandata al sistema informatico, che dovrà implementare delle regole di convalida che permettano di riconoscere gli errori di inserimento, anche se una verifica di una “testa pensante” sarà comunque necessaria, almeno per il periodo di avviamento del sistema di controllo di gestione, al fine di riscontrare che i dati inseriti siano congruenti con le regole stabilite.

Tali regole comprenderanno essenzialmente:

  • l’orario lavorativo per il personale (dovrà essere considerato un monte ore giornaliero/settimanale differente per i lavoratori part-time, la possibilità di inserire straordinario solo se retribuito, le festività ed i giorni di chiusura aziendale);
  • la possibilità di imputare ore solo per le commesse alle quali si è abilitati che siano ancora aperte;
  • l’inserimento coerente delle ore per attività comuni a più persone (corsi, riunioni, ecc.).

In caso di errori i dati dovranno essere corretti dal personale coinvolto, altrimenti i risultati delle elaborazioni e del reporting saranno poco significativi. Quest’aspetto è molto importante e non va trascurato da parte della Direzione e di chi conduce il progetto: basta infatti che un solo collaboratore non comunichi i dati di consuntivo coerenti e con tempestività per rendere aleatorio il reporting mensile ed in certi casi anche quello annuale!

Il contesto ideale

Volendo eliminare tutte le inefficienze del processo di consuntivazione, sia quelle dovute a dati imprecisi per errori materiali di digitazione o dovuti a scarsa attenzione nell’inserimento dati, sia quelli dovuti allo svolgimento di attività non a valore aggiunto (ri-digitazione dei dati in diversi sistemi acquisendoli da comunicazioni via e-mail, dati registrati su supporto cartaceo, ecc.), occorre progettare accuratamente tutto il processo che, evidentemente, potrebbe possedere peculiarità specifiche in ogni realtà aziendale.

Il sistema informativo ideale, costituito da applicazioni software ben progettate e da informazioni inserite secondo modalità ottimali, riducendo al minimo le ridondanze di informazioni in diversi sistemi, dovrebbe garantire le seguenti funzionalità:

  1. Database centralizzato attraverso il quale sono gestite le informazioni relative agli utenti del sistema, alle risorse, alle commesse/progetti (scomponibili in sottoprogetti/attività), ai clienti, alle sedi di lavoro, al calendario associato alle risorse, alle assegnazioni delle risorse ai progetti/commesse, alle ore consuntivate per giorno (con possibile gestione di diverse tipologie quali lavoro ordinario, straordinario, festivo, ecc.) ed alle relative spese di trasferta associate.
  2. Operatività via web per poter inserire il consuntivo ore e nota spese anche – e soprattutto – fuori sede con frequenza maggiore per garantire una consuntivazione più precisa.
  3. Data-entry user-friendly che consenta inserimenti rapidi di dati per singolo giorno, ma anche per lunghi periodi (ad esempio per inserire periodi di malattia e ferie in pochi clic).
  4. Possibilità di inserire dati anche per risorse diverse dall’utente collegato, garantendo comunque il rispetto della privacy (ad esempio una segretaria che inserisce il consuntivo e la nota spese per il Direttore di Area o Funziona).
  5. Funzioni di controllo/quadratura per prevenire errori.
  6. Reporting e query dettagliati su richiesta per agevolare la contabilizzazione dei dati ed il controllo di gestione della commessa/progetto.
  7. Interfacciamento con gli applicativi delle Paghe, interni o presso lo Studio di Consulenza del Lavoro esterno, per eliminare ridigitazioni inutili.
  8. Opzione di gestione, eventualmente tramite applicativo esterno, dei costi delle risorse associandovi tariffe/costi orari.
  9. Possibilità di pianificare l’impegno del personale sulle commesse/progetti per effettuare successive analisi degli scostamenti fra impegno previsto/impegno consuntivato.
  10. Garanzia di sicurezza dei dati nel pieno rispetto del Codice della Privacy riguardo alla tutela dei dati sensibili.

Vantaggi e riduzione dei costi

Una soluzione come sopra descritto permetterebbe ad una piccola organizzazione di servizi di ottenere alcuni miglioramenti e riduzione di costi operativi:

  • Maggior precisione dei dati di consuntivazione delle attività e delle note spese per un controllo di gestione più tempestivo ed accurato;
  • Risparmio di tempo per l’inserimento dati da parte del personale che, quindi, può dedicare maggior tempo alle attività di business;
  • Risparmio di tempo per correzione di errori da parte del personale addetto al controllo della consuntivazione;
  • Rendicontazione più accurata e trasparente delle attività svolte per il cliente e fatturate al medesimo;
  • Ottenimento di possibili sconti da parte dello Studio esterno che effettua le buste paga grazie alla fornitura di dati già importabili nel loro software e/o risparmio di tempo da parte dell’Ufficio Personale interno nell’inserimento dei dati dal consuntivo nell’applicativo per la gestione del personale.

Organizzazioni interessate

Il consuntivo ore e nota spese del personale viene adottato – in forme diverse che vanno, come indicato in precedenza, dal timesheet cartaceo compilato a mano alla serie di fogli elettronici collegati fra loro – da molte organizzazioni di servizi, anche di piccole dimensioni; però molte altre organizzazioni dovrebbero o vorrebbero attivarlo, tuttavia sono frenati dall’eccessivo onere che comporta l’inserimento dati e la relativa gestione.

Tra le prime e le seconde possiamo individuare le seguenti organizzazioni:

  • Società di informatica (progettazione, sviluppo, installazione ed assistenza software);
  • Società e Studi di Ingegneria ed Architettura;
  • Studi Professionali in genere: Commercialisti, Studi Legali e Notarili, ecc.;
  • Studi Tecnici industriali;
  • Società di Consulenza;
  • Organismi di Certificazione ed Ispezione;
  • Società che svolgono servizi di assistenza on-site e da remoto su apparecchiature di elevato valore (hardware ICT, macchine di produzione, ecc.);
  • Studi Grafici e Pubblicitari;
  • Agenzie di Comunicazione;
  • Web Designer;

ed altri che svolgono attività prevalentemente intellettuale su commessa/progetto per diversi clienti, con i costi delle risorse umane che costituiscono voce prevalente nel conto economico.

Consulta anche http://studio.dicrosta.it/wordpress/news/presentazione-del-libro-il-controllo-di-gestione-nelle-imprese-di-servizi-su-commessa
 



Come ridurre i costi di acquisto sul prodotto

j0078616In periodi di contrazione del fatturato e, conseguentemente, dei margini di retribuzione, occorre ricercare la riduzione oculata dei costi aziendali senza compromettere gli investimenti sul futuro sviluppo dell’impresa. In questo articolo ci occupiamo dei costi di approvvigionamento legati ai componenti costituenti il prodotto finito per un’industria manifatturiera, ovvero comeridurre i costi di acquisto sul prodotto.

Premettiamo che per ottenere vantaggi significativi bisogna operare su volumi di acquisto significativi, almeno € 100.000/annui per ogni componente di acquisto esaminato, soltanto così un risparmio del 10/15% porta all’azienda un vantaggio tangibile in termini economici.

Anzitutto occorre entrare nelle dinamiche dell’ufficio acquisti e delle scelte di acquisto; secondo quanto stabilito dalla teoria sui sistemi di gestione per la qualità ISO 9001 si parla di valutazione dei fornitori e di rivalutazione periodica degli stessi.

Tra i vari metodi applicati per valutare e qualificare un fornitore – e quindi renderlo eleggibile per la fornitura di prodotti critici – uno dei più validi è quello che si rifà al costo globale della fornitura. Vediamo di che si tratta.

Il sistema, basato sulla valutazioni dei costi della qualità dei fornitori, costituisce un esempio di sistema pratico ed operativo che premia quei fornitori che “nel complesso” sono i più convenienti perché hanno costi della qualità fornita più bassi.

L’indice di prestazione relativo ai costi della qualità, calcolato come descritto nel seguito, si affianca a valutazioni del tutto convenzionali relative ai prezzi ed alle consegne.

La formula base dell’indice (ICQF = Indice sul Costo della Qualità del Fornitore) nel periodo di riferimento scelto a seconda delle esigenze (un mese, un trimestre, …) è la seguente:

 

 ICQF = (Costo della qualità del fornitore + Costo di acquisto)/Costo di acquisto =

= Costo della qualità del fornitore/Costo di acquisto + 1

 

Non si possono probabilmente includere tutti i costi della qualità di una fornitura per non eccedere in lavoro amministrativo. Quindi vanno identificati solo i costi significativi per ogni azienda. Per questo si potrà avere:

Costi per il trattamento delle parti di fornitura respinti +
Costi dovuti alle indagini effettuate in seguito a lamentele +
Costo di elaborazione nel collaudo al ricevimento +
Costo di un prodotto trovato difettoso dopo il collaudo al ricevimento =
Costo della Qualità del Fornitore

Dove per i costi suddetti si intende quanto segue:

  • Costi per il trattamento delle parti di fornitura respinti: va determinato il costo necessario per scartare e respingere un lotto di fornitura (spese per registrazione, documentazione e restituzione al fornitore). Tale costo unitario per lotto va poi moltiplicato per il numero di lotti respinti.
  • Costi dovuti alle indagini effettuate in seguito a lamentele: è necessario uno studio speciale del tempo necessario a compiere indagini sulle lamentele con un certo grado di precisione. Deve essere richiesto a ciascun tecnico di documentare il tempo richiesto per ciascun fornitore. Il costo totale va calcolato moltiplicando il tempo totale di indagine per il fornitore nel periodo di riferimento per la paga oraria media (onnicomprensiva) del tecnico incaricato dell’indagine.
  • Costo di elaborazione nel collaudo al ricevimento: il costo va calcolato con l’uso degli appropriati costi standard di lavoro. Viene moltiplicato il tempo standard necessario per collaudare un lotto per il costo orario dell’operatore e per il numero di lotti collaudati nel periodo di riferimento.
  • Costo di un prodotto trovato difettoso dopo il collaudo al ricevimento: occorre considerare che il prodotto può essere scartato o rilavorato. Nel primo caso va determinato se è possibile recuperare il costo dal fornitore a seconda di quanto chiara sia l’attribuzione delle responsabilità. Nel secondo caso vanno determinati i costi della rilavorazione. Vanno inoltre considerati i costi dovuti ad un controllo al 100% dei particolari rimanenti (cernita) se il collaudo è a campione e quelli dovuti ad una lavorazione inutile se il particolare viene scartato.

In alcuni casi il costo di acquisto del particolare può costituire una stima accettabile del costo della qualità. Quindi questo costo viene valutato moltiplicando, per ciascun fornitore, il numero dei particolari trovati difettosi dopo il collaudo al ricevimento nel periodo di riferimento per il costo di acquisto iniziale del particolare. Tale metodo di stima del costo di un prodotto difettoso dovrebbe essere verificato essere ragionevole prima di adottarlo.

L’azienda deve poi sviluppare un metodo per interpretare l’indice di prestazione del costo della qualità per accertare il livello di ciascun fornitore. Il fornitore perfetto non dovrebbe avere costi della qualità poiché non vi sarebbero restituzioni di particolari difettosi, non vi sarebbero ricerche dovute a lamentele e non sarebbero necessari i collaudi al ricevimento. Quindi l’indice per un fornitore perfetto sarebbe ICQF=1. Quanto più il valore dell’indice si discosta da 1, quanto più il fornitore è scarso/poco affidabile.

Dalla teoria alla realtà: molti uffici acquisti adottano criteri di scelta dei fornitori che si basano sul miglior prezzo di acquisto dato un livello di qualità del prodotto e di servizio (tempi di consegna, flessibilità del fornitore a soddisfare le esigenze del cliente, assistenza tecnica, ecc.) minimo ritenuto sufficiente. Ma allora come ridurre il costo di approvvigionamento?

Occorre esaminare la distinta base del prodotto finito ed analizzare quali sono i componenti di acquisto che incidono maggiormente nel costo del prodotto, secondo la logica ABC o di Pareto.

In molte realtà – a causa di carenze dei sistemi informativi – non è così semplice individuare i componenti di acquisto più onerosi poiché più prodotti potrebbero impiegare il medesimo componente ed il volume dei componenti acquistati nell’anno varia in funzione del mix di prodotti venduti ed analizzare i dati basandosi sul mix di prodotti degli anni passati, per stimare il consumo previsto nell’esercizio futuro, potrebbe non essere una buona idea in periodi di forti fluttuazioni e variazioni della produzione e della vendita come quello che stiamo passando.

Determinati quali sono i componenti prevalenti che, a prezzi di acquisto attuali e futuri, realizzano volumi di acquisto significativi (nelle presmesse si era individuata una soglia minima di 100.000 euro) occorre ricercare possibili alternative più economiche a parità di qualità.

Questo compito spesso eccede le capacità dell’ufficio acquisti e potrebbe essere conveniente rivolgersi a servizi di “buyer in outsourcing”, professionisti in grado di reperire sul mercato, nell’ambito del proprio parco clienti e contatti, anche ricorrendo a gruppi di acquisto, aziende affidabili in grado di formulare offerte competitive per i prodotti ricercati.

Questo servizio fa risparmiare tempo e denaro all’ufficio approvvigionamenti interno nella ricerca di fornitori attraverso vari canali, alla loro valutazione anche attraverso contatti fisici, alla formulazione della richiesta di offerta, alla comparazione e valutazione delle offerte e così via. Inoltre talvolta le specifiche tecniche di alcuni componenti secondari – non per il loro costo complessivo – del prodotto finito sono non adeguatamente accurate per le prestazioni richieste. Ciè accade perché l’ufficio tecnico interno, in particolare nel settore meccanico, difficilmente possiede competenze adeguate sulla progettazione della totalità dei componenti della distinta base e pertanto realizza specifiche talvolta incomplete o imprecise. Viceversa alcuni fornitori specializzati nella realizzazione di determinati componenti possiedono le competenze adeguate per stabilire le caratteristiche tecnico-qualitative idonee all’uso specifico del prodotto.

Infine per taluni componenti le aziende riescono a rivolgersi solo al mercato nazionale, talvolta addirittura regionale, perché non hanno le conoscenze (anche linguistiche) adeguate per rivolgersi a fornitori Europei o addirittura Asiatici. In questi Paesi, ad esempio in Cina, è fondamentale disporre di determinate competenze e conoscenze specifiche sugli iter di fornitura per riuscire ad acquistare componenti a prezzi realmente vantaggiosi, in termini di costi della qualità della fornitura come esposto in precedenza, valutando attentamente tutti i rischi presenti nel trasporto e consegna del prodotto, gestione di eventuali prodotti difettosi, ecc..

Alcune esperienze ci indicano che è possibile conseguire risparmi tangibili dell’ordine del 20% sui costi di approvvigionamento annui per gli articoli individuati.

I prodotti sui quali effettuare l’analisi ed eventualmente ricercare riduzione dei costi di acquisto sono prodotti già esistenti (componenti, materie prime,….) che l’azienda sta già utilizzando nel suo processo produttivo.

Esempio 1: caso di azienda distributrice di articoli sanitari.

La ricerca di un prodotto alternativo si è concentrata su un componente di largo utilizzo in quanto viene installato in ogni lavabo delle cucine prodotte nel settore dell’arredamento (trattasi di piletta per lavabi).

La quantità acquistata del componente in un anno era di circa 2500 pezzi con un prezzo unitario praticato dal fornitore abituale (Italiano) di € 6,00.

Il componente reperito sul mercato estero (Cina) ha un prezzo unitario di € 1,90 con un risparmio annuale di circa € 10.250 a cui vanno ovviamente detratti i costi una tantum per eseguire test funzionali accurati per garantire la piena conformità del nuovo prodotto. Tali prove hanno già dato esito positivo per i lavabi in materiale specifico e sono in corso per i lavabi in vetro e ceramica; in caso di esito positivo il quantitativo potrà triplicare.

Poi la ricerca ha interessato il lavabo stesso il cui prezzo di acquisto era di € 65 cadauno. Il fornitore alternativo reperito sul mercato estero (Cina) ha consentito di abbattere questo costo a € 30 al pezzo, con un conseguente risparmio annuo complessivo di € 87.000.

È in corso un’analisi di altri prodotti acquistati da quest’azienda del settore arredo bagni, con prospettive di risparmio interessanti.

Esempio 2: caso di azienda del settore del legno

L’obiettivo dell’ottimizzazione era quello di un prodotto di largo impiego, il legno multistrato, acquistato in lastre da fornitori europei (Italia, Ungheria).

Il legno alternativo reperito sul mercato è risultato di qualità superiore e di costo inferiore di ben € 30 al mq. Considerando un container di 40 piedi contenente 440 lastre il risparmio ottenuto è stato di circa € 74.800 a cui naturalmente vanno detratti i costi occorsi per il cambio del fornitore (prove sul prodotto, nuovo contratto, gestione, ecc.).

Esempio 3: nuovo prodotto per sistema di illuminazione

Trattasi di componenti in plexi che fanno parte di un sistema d’illuminazione che l’azienda ha progettato e deve commercializzarlo; il costo unitario complessivo dei modelli (costo modello1 + costo modello2) non deve superare i € 4,00 il quantitativo previsto è di 25.000 pezzi l’anno.

Per il modello 1 il prezzo del fornitore italiano reperito dal nostro servizio era di € 3,50 (il prezzo del fornitore precedente italiano era di € 5,50), mentre il prodotto alternativo reperito nel mercato cinese è di € 2,00.

Per quanto riguarda il modello 2 il costo unitario del fornitore italiano – sempre reperito dal nostro servizio era di € 2,90 (€ 4,90 era invece il prezzo del fornitore iniziale italiano), mentre il prodotto reperito nel mercato cinese è di € 1,25.

In questo caso il risparmio è potenziale in quanto il sistema di illuminazione progettato deve ancora essere venduto e le quantità sono solo stimate, ma a fronte del risparmio sul costo del prodotto è possibile pensare di ridurre il prezzo di vendita per rendere il prodotto finale più competitivo.

Il nostro cliente per la fase di pre-serie utilizzerà il fornitore italiano che abbiamo trovato, successivamente quello cinese.

I casi sopra riportati si riferiscono ad alternative di prodotti reperiti sul mercato cinese in collaborazione con un importatore italiano specializzato che garantisce la fornitura sotto diversi aspetti apparentemente secondari, ma di difficile gestione da parte di un ufficio acquisti di un’azienda italiana di medie dimensioni. Inoltre l’importatore è un’azienda italiana che controlla la merce presso lo stabilimento di produzione, consente pagamenti Italia su Italia, reperisce solo aziende cinesi referenziate (fornitori di grandi aziende europee ed americane) e tutte le certificazioni richieste dal mercato europeo.

Chiaramente a fronte del risparmio ottenuto – trattandosi anche di volumi consistenti i cui tempi e costi di consegna dipendono anche dal trasporto (sempre incluso nei valori indicati negli esempi) – occorre garantire pagamenti molto più tempestivi rispetto alle abitudini italiane (del resto in corso di cambiamento obbligato dalla nuova legislazione).

Anche le alternative italiane in molti casi consentono risparmi ed il miglioramento del rapporto qualità prezzo della fornitura nel tempo.

Altre situazioni sono in corso di valutazione e riguardano articoli reperiti direttamente nel mercato italiano o europeo (francese in particolare), con risparmi comunque interessanti a parità di qualità del prodotto.

L’obiettivo è sempre quello di ricercare il minor costo complessivo della fornitura, comprensivo di prove e collaudi, gestione delle non conformità, assistenza, costi e tempi di consegna, impatto sui reparti produttivi, ecc…

 

Per informazioni buyer@studio.dicrosta.it  oppure leggi qui

 




Decreto anticorruzione ed impatti sul D.Lgs 231

Businessman Using Laptop in Waiting RoomLa Legge n. 190 del 6/11/2012 (cosiddetta “legge anticorruzione”), entrata in vigore lo scorso 28/11/2012, riformula e punisce più severamente alcuni reati, quali la concussione e la corruzione, che potenzialmente possono  interessare coloro che intrattengono rapporti commerciali con le P.A..

La Legge 190/2012 introduce inoltre il nuovo reato di “corruzione fra privati”, che comporta, oltre alle sanzioni penali a carico degli esponenti apicali delle società e dei loro subordinati nonché di coloro che li corrompono, la responsabilità amministrativa della società alla quale appartengono i corruttori, ai sensi del D.Lgs. n. 231/2001.

E’ dunque necessario aggiornare le valutazioni dei rischi predisposte ai sensi del suddetto D.Lgs 231/2001 e, conseguentemente, apportare le modifiche necessarie al relativo Modello Organizzativo. Inoltre alcune organizzazioni, che prima avevano valutato inesistente il rischio di corruzione di una P.A. poichè non trattano affari con essa, ora, con l’inserimento del reato di corruzione fra privati nell’elenco dei reati per cui si applica il D.Lgs 231, dovranno valutare attentamente se la non attuazione di un Modello Organizzativo 231 è ancora una scelta corretta.




Entrata in vigore del D.Lgs 192/2012 sui ritardi di pagamento

j0284875Lo scorso 1° gennaio è entrato in vigore il decreto legislativo che – in osservanza di una Direttiva Europea – sancisce i termini massimi di pagamento nelle transazioni commerciali (si veda la definizione nella legge), oltre i quali scattano automaticamente riconosciuti gli interessi di mora dovuti dal debitore al creditore.

I tempi massimi previsti (30 giorni, o 60 se previsto nel contratto, dalla fattura o consegna della merce o erogazione della prestazione di servizio) ci conformano agli standard europei e ci portano nel mondo civile, ma nei meandri della legge ci sono alcune vulnerabilità che potrebbero consentire escamotage. Innanzi tutto si sta ancora discutendo se tale norma è applicabile ai lavori pubblici, già regolamentati dal Codice degli appalti (D.Lgs 192/2006) e dal relativo regolamento di attuazione (DPR 207/2010). Normalmente dovrebbe essere così e questo apporterebbe enorme beneficio a quelle imprese, e relativi fornitori, che operano nel settore dei lavori pubblici. Il timore è che le P.A., soprattutto locali, cerchino in tutti i modi, anceh imponendolo in fase di gara, di dilazionare oltre misura i pagamenti ai fornitori.

Per quanto riguarda il settore privato il rischio è che alcuni committenti impongano contrattualmente al fornitore tempi di pagamento più lunghi del lecito, in forza di un rapporto contrattuale squilibrato. Nelle prestazioni di servizio che non comportano il passaggio o la consegna di prodotti il cliente potrebbe, invece, imporre una dilazione nella presentazione della fattura, ritardando di conseguenza i relativi pagamenti.

In pratica per rendere efficace il provvedimento occorrerebbe garantire la ineludibilità di quanto prescritto attraverso comportamenti “ricattatori” dei committenti più forti verso i più deboli (“se non mi lasci libertà di pagarti in ritardo emettendo la fattura quando lo dico io assegno il lavoro ad un altro”) e la compiacenza di alcuni fornitori – sleali verso il mercato – che, pur di mantenere o acquisire il lavoro, sono disposti a derogare sui termini di pagamento previsti per legge.

Si precisa che già la legge n. 192 del 1998 (modificata dal decreto attuale) poneva dei paletti su termini di pagamento, ma di fatto era inattuata.

Ora la sanzione per il ritardato pagamento è costituita dagli interessi di mora, che dovrebbero essere automaticamente riconosciuti, senza dover adire a vie legali.

Resta il fatto che il fornitore non è ugualmente garantito in caso di fallimento del cliente, in quanto i relativi interessi di mora, sebbene maturati potrebbero essere non incassabili, come il capitale relativo. A tal fine lo Stato avrebbe potuto istituire sistemi che permettano al creditore di non essere ulteriormente penalizzato dalle imposizioni fiscali vigenti (lo Stato si rivolge a Equitalia per esigere i suoi crediti, il privato non può farlo).

Se il processo di pagamento verrà gestito in modo virtuoso si potrebbero spostare le richieste di finanziamento agli istituti di credito verso determinati soggetti che, non potendo più far fede sul ritardo del pagamento dei fornitori, saranno costretti a rivolgersi alle banche ed alle finanziarie per poter onorare i propri debiti, non tanto per non pagare interessi di mora comunque inferiori rispetto ai tassi di interessi richiesti per il capitale di credito dalle banche, ma piuttosto per non ricevere segnalazioni negative nelle banche dati dei cattivi pagatori.

Nel testo di legge allegato sono evidenziati in giallo i passi più salienti.

Visualizza il testo di legge completo D._LGS_9_11_2012_n._192_-_Ritardo_pagamenti




Quanto vale la tua azienda?

ValutazioneAziensaIn questi tempi alcuni imprenditori e soci di piccole e medie imprese stanno seriamente valutando se continuare a far vivere l’azienda e con quali prospettive. In un mio precedente articolo ho esaminato le possibili azioni che occorrerebbe intraprendere per salvare l’azienda in crisi, ma per attuarle spesso sono necessari nuovi finanziamenti esterni, da richiedere a Istituti di Credito o ad investitori di capitale (venture capital, imprenditori di altre aziende simili e non, ecc.). In alternativa i soci o l’imprenditore singolo valutano la cessione completa dell’azienda.

In entrambe i casi (cessione d’azienda e ricerca di investitori o di finanziamenti in genere) occorre capire, e magari calcolare, quanto vale la propria azienda in termini economici. Più si riesce ad attribuire valore alla propria azienda, più risulterà attraente nei confronti di investitori o eventuali acquirenti ed anche le banche accorderanno finanziamenti, ed a tassi inferiori, quanto più l’impresa mostrerà prospettive concrete nel futuro.

Sui metodi di calcolo del valore di un’azienda in caso di cessione si è scritto e discusso a lungo, ad esempio il testo “Valutazione d’azienda”, pubblicato da Ipsoa Editore nel 2009 costituisce un’ottima guida per chi volesse districarsi nell’argomento.

A mio modo di vedere, però, i sistemi di valutazione puramente economico-finanziari che sono stati utilizzati finora hanno senso fino ad un certo punto in questo periodo. Credo che valutare il valore “vero” di un’azienda italiana oggigiorno non sia (più) un lavoro (solo) da commercialisti e da funzionari di banca.

Oggi, infatti, il risultato ottenuto nell’esercizio precedente (EBITDA, EVA o altri indici) è già vecchio nell’estate dell’anno successivo e, in ogni caso, i dati di bilancio sono scarsamente affidabili, soprattutto quando spetta all’azienda (ed ai suoi consulenti fiscali) valutare le commesse pluriennali in corso, i crediti verso clienti, le scorte di magazzino ed altre poste del conto economico e dello stato patrimoniale. Quello che conta oggi sono:

  • le prospettive per il futuro in termini di clienti, commesse acquisite e portafoglio ordini, prodotti che entreranno sul mercato, situazione del mercato e dei competitors;
  • il know-how aziendale e la capacità di sviluppare nuovi prodotti e servizi a prezzi competitivi;
  • l’innovazione tecnologica;
  • il valore delle risorse, umane e materiali;
  • l’organizzazione e l’efficienza dei processi.

Tutti aspetti – che tra l’altro costituiscono i capisaldi della teoria delle bilance score card –  che ben difficilmente possono essere valutati attraverso i dati di un bilancio ed anche di un business plan, anche se ben fatto. Oggi le condizioni al contorno variano molto velocemente e la redditività di un’azienda negli ultimi anni ben difficilmente potrà essere mantenuta in futuro senza un controllo sistematico dei ricavi e dei costi ed un investimento continuo in risorse, tecnologie e miglioramento dell’efficienza dei processi.

Dal lato del possibile acquirente o investitore i bilanci ed una due diligence solo economico-finanziaria non possono essere sufficienti non solo per valutare l’azienda su cui investire, ma anche “se” investire in essa.

Occorrerebbe un’analisi molto più approfondita, svolta da personale competente su tutti i settori aziendali, dalla parte economico-finanziaria alla produzione o erogazione di servizi, dall’Information Technology alla valutazione delle risorse umane.

La tecnica per conoscere lo stato reale di un’azienda è quella degli audit sui sistemi di gestione e delle revisioni di bilancio per la parte economico-finanziaria, ma deve essere un audit vero e realmente efficace se si vuol tutelare gli interessi dell’investitore o dell’acquirente. Solo in questo modo si può giungere a valutazioni reali.

Facciamo qualche esempio per capire meglio.

Durante un audit in azienda vanno valutati tutti i processi e le risorse; nella pratica si intervisterà il personale, si valuteranno i sistemi informatici e le altre risorse tecnologiche, e si verificherà l’esistenza di procedure documentate che rispecchino la realtà, cercando di rispondere, ad esempio, alle seguenti domande:

  • Il personale esegue quanto stabilito dai responsabili e dalla Direzione?
  • A quali rischi va incontro l’impresa attraverso pratiche non conformi a requisiti contrattuali e/o cogenti? La direzione ne è consapevole?
  • Il personale è adeguatamente formato per il ruolo che svolge? Rischia di commettere errori gravi per impreparazione?
  • Il personale è adeguatamente motivato nello svolgimento delle proprie mansioni? I ruoli critici sono ricoperti da persone fortemente legate all’azienda oppure da soggetti che non aspettano che la prima occasione per cambiare aria?
  • I sistemi informatici (dagli applicativi d’ufficio al gestionale) sono ben conosciuti dal personale e ed usati in modo corretto ed efficiente?
  • I sistemi informatici sono adeguati alla realtà aziendale?
  • L’infrastruttura tecnologica costituita dall’hardware e dalla rete locale e relative apparecchiature è adeguata oppure obsoleta?
  • I sistemi informatici sono sicuri o espongono l’organizzazione a rischi di perdita e/o sottrazione di dati?
  • Gli impianti produttivi, se presenti, sono adeguati o obsoleti? Vengono utilizzati al meglio? La manutenzione necessaria viene eseguita regolarmente?
  • I controlli sulla qualità del prodotto e/o servizio erogato sono adeguati ed eseguiti in modo sistematico oppure espongono l’azienda a rischi sulla qualità del prodotto/servizio ed a contestazioni o reclami da parte del cliente?
  • La gestione della compliance in azienda è efficace o espone l’organizzazione a rischi di contenziosi con i clienti e sanzioni da parte degli organismi di controllo in merito a sicurezza sul lavoro, adempimenti fiscali ed amministrativi, privacy, licenze software, ecc.?
  • e così via…

Alle volte in una piccola realtà basta verificare come vengono archiviati i documenti sul server aziendale o come viene usata la posta elettronica per avere piccoli indizi di problemi più importanti!

In altre parole acquistare un azienda (o investire in essa) significa anche capire se saranno necessari ulteriori investimenti per renderla produttiva ed efficiente, dunque competitiva nel tempo. È come quando si sta per comprare un appartamento: guardiamo solo la piantina e la relazione del notaio sulla conformità normativa oppure valutiamo anche quali interventi di ristrutturazione sono da fare per renderlo vivibile in modo confortevole e duraturo?

Un’azienda con buona redditività passata, ottenuta senza investire in risorse tecnologiche adeguate e sufficientemente innovative, nella formazione del personale e nel miglioramento dell’organizzazione interna sarà appetibile da un investitore attento e competente? Probabilmente no.

In conclusione l’imprenditore che desidera lasciare o cercare investitori dovrebbe evitare i comportamenti suddetti, salvo non trovare qualche “pollo” che ci caschi. Dall’altra parte chi ha disponibilità finanziaria e vorrebbe investire in imprese che possano rendergli più di obbligazioni a basso rischio dovrebbe stare attento a non pagare a peso d’oro aziende che non valgono che poco più del terreno sopra il quale sono edificate (alle volte bisogna guardare anche come sono state costruite per non fare la fine di alcune aziende emiliane durante il sisma della scorsa primavera).




Come uscire dal tunnel e salvare l’azienda?

Oggi molti imprenditori non sanno cosa fare per salvare la propria azienda che sta progressivamente perdendo fatturato, ma cosa hanno fatto finora?

Negli ultimi anni, da quando la crisi economica e finanziaria ha investito il nostro Paese più di altri, molte imprese hanno affrontato il problema proprio come lo ha affrontato il Governo Monti: rigore e tagli alle spese! Sembra che Governo e Imprese da una parte si scontrino perché queste ultime vorrebbero maggiori iniziative per lo sviluppo ed il Governo sta dando solo qualche “contentino”, mentre dall’altra parte si stanno comportando alla stessa maniera.Gli elementi che hanno provocato la crisi sono molteplici ed alcuni poco controllabili, chi avesse seguito la trasmissione SuperQuark di venerdì 7/12 (ancora disponibile sul sito web della RAI) avrà avuto l’occasione di apprendere in modo chiaro e semplice perché siamo dentro al tunnel della crisi. Se alcuni Paesi stanno crescendo più di noi (che siamo in piena recessione) ci sono ragioni sulle quali non possiamo influire – quali ad esempio la crescita demografica e le ricchezze del territorio – ed altre per le quali è colpevole la classe dirigente degli ultimi trent’anni e forse più. Nella classe dirigente sono compresi sia la classe politica ed i governi che si sono succeduti in questo lasso di tempo, sia chi ha creato e diretto le imprese italiane.

Ora è difficile recuperare in tempi brevi quanto si è perso a causa della corruzione, dell’inefficienza della Pubblica Amministrazione, della sottrazione di fondi pubblici da parte di appartenenti a vari partiti, dall’evasione fiscale e così via. Qualcosa si stava cercando di fare negli ultimi tempi, ma non basta.

Con queste premesse i margini per risollevarsi delle imprese italiane, prevalentemente piccole e medie imprese, sono ristretti. Da un lato si può sperare (e pretendere) non solo in riforme che ci allineino ai Paesi più virtuosi, non solo in tema di pareggio di bilancio, ma di rispetto delle regole e di equità, oltre che di investimenti per lo sviluppo da parte dello Stato. Dall’altro le imprese devono fare molto per essere più efficienti e tecnologicamente innovative e quindi guadagnare competitività a livello internazionale rispetto a chi ci precede.

Così come il solo taglio delle spese – comprese quelle per lo sviluppo, la ricerca, l’innovazione e la formazione – non potrà portarci da nessuna parte a livello di Paese, anche nelle imprese industriali e dei servizi tagliare il più possibile i costi può solo consentire (forse) di salvare il pareggio di bilancio oggi che cala il fatturato. Ma questi interventi non permetteranno di far crescere i ricavi domani, quando avremo perso ancor di più competitività, a causa delle maggiori inefficienze che avremo introdotto con i tagli alle spese ed agli investimenti, soprattutto in innovazione tecnologica di prodotto e di processo, ed a causa della demotivazione di personale poco formato.

Oggi è frequente vedere imprese che – a fronte di un brusco calo di fatturato – hanno le risorse sottodimensionate dalla ricerca di riduzione dei costi variabili e fissi per compensare i costi fissi elevati. Questo avviene sottraendo ancor più tempo all’organizzazione, o meglio alla riorganizzazione interna, necessaria per migliorare l’efficienza e, dunque abbattere in modo duraturo i costi variabili e quelli fissi.

In questo contesto molti piani di risanamento delle imprese falliscono miseramente perché non solo non portano ad un aumento delle vendite e dei ricavi, ma nemmeno riescono a frenare il calo del fatturato e, quindi, i finanziamenti richiesti alle banche o ad altri soggetti non producono “leva finanziaria”, ovvero non generano utile a tassi maggiori rispetto a quelli degli interessi del debito contratto.

D’altro canto molte piccole imprese (numericamente oltre il 90% del totale delle imprese, in percentuale maggiore rispetto agli altri Paesi guida europei) non hanno soldi nel vero senso della parola, ovvero oltre che della crisi economica, soffrono anche di profonda crisi finanziaria: il cash flow è ridotto al minimo, i clienti tardano a pagare (specie se Pubblici) e le Banche richiedono tassi elevati per finanziare l’attività dell’Impresa. Alcune imprese cercano investitori che non ci sono, del resto chi investirebbe in imprese dal fatturato in calo, poco efficienti, poco capitalizzate, senza “asset intangibili” di particolare valore (il know-how è nella testa delle persone, molte delle quali demotivate, e le risorse tecnologiche sono scarse e spesso mal impiegate da personale poco formato). Le condizioni al contorno (criminalità organizzata, corruzione, lentezza della Giustizia, costo dell’energia, difficoltà a far rispettare le regole, difficoltà nell’accesso al credito, burocrazia, ecc.) poi non favoriscono certo l’attrattiva agli investimenti delle imprese del nostro Paese.

Ma allora che fare? La ricetta vincente non esiste, ogni impresa fa storia a sé, se non altro perché ha un suo mercato ed è costituita di persone diverse dalle altre. Quello che a mio modo di vedere sarebbe importante fare è analizzare l’impresa da cima a fondo ed identificare le possibili aree di miglioramento che sicuramente ci saranno, bisogna sapere cosa si è disposti ad investire. Talvolta è necessario cambiare mentalità all’imprenditore o ai dirigenti/responsabili di primo livello per convincerli ad affrontare la crisi in modo diverso ed a dedicare tempo non solo a portare avanti le attività ordinarie (fare offerte, concludere le commesse di produzione o di servizio, consegnare i prodotti ed erogare i servizi), ma anche quelle straordinarie a cui non si è mai dedicato tempo finora: analizzare i processi ed identificare le relative inefficienze, eliminare attività non a valore aggiunto, ascoltare le esigenze del personale per risolvere i problemi, analizzare i sistemi informativi per migliorarli per rendere i processi più efficaci (ridurre i tempi delle attività e diminuire gli errori) ed efficienti (impiegare minor tempo delle risorse umane per svolgere la medesima attività), pensare all’innovazione dei prodotti e dei processi, cercare di migliorare la qualità del prodotto, motivare le risorse umane. Questo potrebbe essere più difficile che trovare finanziatori, ogni imprenditore vuole fare di testa sua: è questo uno dei motivi perché abbiamo tantissime piccole e microimprese, molte di più di tedeschi, inglesi e paesi nordici…perchè “piccolo non è bello”, più che altro è poco efficiente. Infatti nelle piccole imprese il personale è mediamente meno competente (dove per competente si intende un mix di istruzione scolastica, formazione professionale ed addestramento, esperienza lavorativa, conoscenze tecniche ed organizzative, capacità/abilità a svolgere determinati compiti), soprattutto relativamente all’utilizzo di sistemi informatici. Anche l’innovazione tecnologica, principalmente costituita dai sistemi informatici, nelle piccole imprese è di livello inferiore rispetto alle medio-grandi imprese. E tutto ciò si paga in termini di efficienza e quindi di maggiori tempi e costi per completare le attività ordinarie.

Allora la crisi della piccola impresa può essere affrontata cercando di dotarsi di strutture, organizzazione e tecnologie da grande impresa, visto che oggi i processi della piccola impresa non sono – come dicono alcuni piccoli imprenditori – più snelli di quelli della grande impresa e per questo più competitivi. Questo era forse vero un tempo, quando la maggior parte dei costi e del valore dell’impresa era concentrata sui materiali e sul processo produttivo (macchine, impianti e manodopera poco qualificata). Oggi, a parità di costi di materiali e manodopera,  la differenza la fa la competenza delle risorse umane ed i sistemi informatici, molto più importanti che un tempo, che permettono di svolgere le attività – magari non primarie, ma comunque costose – in tempi inferiori e meglio (con un prodotto di qualità migliore).

Ma se da un lato bisognerebbe investire di più in ricerca ed innovazione tecnologica per garantirsi un futuro migliore (in certi casi solo un futuro), dall’altro gli strumenti per uscire dal tunnel e salvare l’azienda sono metodi già noti da anni. Parlare di sistemi di gestione qualità, business process reengineering, controllo di gestione, KPI, balance scorecard, valutazione e motivazione delle risorse umane e di tanti altri sistemi per “fare le cose meglio” non è certo una novità, lo è invece applicarli nel modo corretto con una Direzione che ci crede perché crede nel cambiamento.