I centri di costo, questi sconosciuti

174082251Le piccole imprese, in particolare le organizzazioni di servizi che operano su commessa, per calcolare il costo del servizio/commessa a preventivo o a consuntivo normalmente operano nel modo seguente.

1)      Calcolano tutti i costi diretti: ore lavorate dal personale interno, ore o costi a forfait del personale esterno (consulenti o collaboratori a progetto, ecc.), costi per materiali e spese vive (in particolare spese di trasferta).

2)      Aggiungono una quota in percentuale che rappresenta le spese generali (costi fissi).

3)      Aggiungono il margine di contribuzione o utile d’impresa, eventualmente comprensivo di una quota di imprevisti.

In generale gli errori più frequenti sono commessi in relazione al secondo punto, oltre a quelli riguardanti il metodo adottato.

Infatti, se la previsione o la rilevazione a consuntivo dei costi diretti è generalmente corretta, salvo previsioni sbagliate dovute ad errori di valutazione e ad altri fattori che esulano dalla presente trattazione, il voler arrivare ad un costo pieno del prodotto (full costing) imputando una quota parte dei costi fissi o di struttura rappresenta spesso una forzatura che può portare a parecchie imprecisioni. Ad esempio ciò presuppone una costanza dei costi fissi rispetto ai ricavi e, soprattutto in questo periodo, questo rapporto non è sempre facilmente prevedibile e costante. Solo a consuntivo, a fine anno, è possibile avere dati certi, ma ciò non va bene per i preventivi formulati durante l’anno, che se sono stati sbagliati ormai il danno è fatto (lavoro perso oppure in perdita).

D’altro canto è spesso altrettanto vero che non tutte le commesse assorbono in egual misura i costi fissi, tutt’altro.

Purtroppo alcune organizzazioni usano calcolare a consuntivo, in modo abbastanza preciso, i costi diretti variabili di commessa, ma tutto ciò che non è tale viene attribuito alle “spese generali” o costi di struttura, che diventa un “calderone” ove tutti imputano ore e costi. Addirittura in qualche caso persino i membri della direzione, anche se spendono ore sulle commesse, non ripartiscono le attività svolte mediante adeguati consuntivi ore come il resto del personale, un po’ per pigrizia ed un po’ per noncuranza dell’importanza che ciò può costituire al fine di ottenere una precisa valutazione dei costi.

Alcuni ricorderanno il noto film “Il Socio” con Tom Cruise, tratto dall’omonimo romanzo di Grisham, nel quale tutti i professionisti, Partner compresi, caricavano tutte le ore possibili sui clienti dello Studio. Non credo che nel nostro Paese viga la stessa filosofia, soprattutto quando il lavoro viene svolto “a forfait” anziché “a consuntivo”; spesso è proprio il Socio a non dare il buon esempio ed a non ripartire le proprie ore lavorate su commessa, quando esse sono state vendute in modo forfettario.

Oltre a questo errore di fondo – che rende la valutazione dei costi diretti di commessa disomogenea e rischia di penalizzare alcune commesse, con quote di costi fissi rilevanti, proprio perché contengono anche le ore (normalmente molto costose) dei titolari dell’organizzazione – altri errori vengono commessi nella ripartizione dei costi di struttura.

Versare tutti i costi non su commessa in un unico contenitore che rappresenta le spese generali dell’organizzazione non permette di capire come effettivamente viene speso il tempo, che per le organizzazioni di servizi intellettuali è normalmente la risorsa più preziosa.

La chiave di volta è costituita dall’introduzione dei centri di costo, non quelli della contabilità generale, ma quelli della contabilità analitica (possono in qualche caso corrispondere, ma normalmente sono entità diverse).

Ecco dunque che si può definire delle destinazioni ove imputare ore lavorate ed altri costi: i centri di costo. Essi identificano unità organizzative (reparti, uffici, laboratori, ecc.) della struttura.

Al fine del controllo economico della gestione e della responsabilizzazione, la definizione di un valido piano dei centri di costo è essenziale; per realizzarlo è necessaria una conoscenza approfondita sia dell’organizzazione dell’impresa, che dei processi tecnici delle diverse operazioni ed attività produttive/realizzative.

I requisiti che un centro di costo deve possedere per poter soddisfare le esigenze di una moderna contabilità analitica e garantire l’esattezza del calcolo dei costi di funzionamento sono:

  • l’omogeneità;
  • la possibilità di attribuzione di tutte le sue spese di funzionamento;
  • la responsabilizzazione unitaria del costo del centro.

Affermando che i centri di costo si suddividono in diretti, indiretti e “di struttura”, già si capisce che c’è una prima forte distinzione rispetto alle visioni di molte piccole organizzazioni, ovvero la ripartizione dei centri di costo – e quindi dei costi – fra centri indiretti e centri di struttura o “a spese generali”.

L’attribuzione di talune attività al centro di costo “costi commerciali”, piuttosto che al centro di costo “costi sistemi informativi” oppure “costi per l’amministrazione” non è un puro esercizio didattico, infatti a valle di ciò ci sarà un’allocazione dei costi conteggiati nei singoli centri di costo in modo non equiripartito su tutte le commesse, bensì attraverso un driver opportuno. Inoltre si ha la possibilità di stabilire un budget per ogni centro di costo e di effettuare analisi degli scostamenti, a consuntivo, per verificare se determinate tipologie di costi sono state superiori al previsto e per quali motivi. In altre parole tutto ciò per tenere davvero sotto controllo i costi, attività che per alcuni significa soltanto «spendere il meno possibile su qualsiasi cosa».

In alternativa è possibile rilevare le ore del personale (si veda anche l’articolo sul “Consuntivo ore del personale“) non solo sulle commesse cliente, ma anche sulle commesse cosiddette “interne”. Come tali vanno definite commesse su cui imputare le ore spese per attività commerciali, formazione, organizzazione interna, manutenzione dei sistemi informativi e così via.

Questa strutturazione permetterà di attribuire in modo più corretto i costi non diretti alle commesse in base all’effettivo (o quasi) consumo di risorse aziendali. Ad esempio:

  • una commessa acquisita tramite trattativa con un cliente privato non può accollarsi i costi indiretti di un ufficio gare che opera per l’acquisizione di commesse pubbliche nell’ambito della stessa organizzazione;
  • un’attività di progettazione di opere civili richiede l’impiego di risorse differenti (software di calcolo, CAD) rispetto a quella di una Direzioni Lavori;
  • lo sviluppo di software su una piattaforma open source non ha i costi di realizzazione di un software che richiede un ambiente di sviluppo proprietario con alti costi di licenza,
  • il servizio contabile di predisposizione di un Bilancio di Esercizio per un’azienda cliente impiega risorse diverse (software di gestione) rispetto ad una consulenza fiscale di altro tipo;
  • la gestione di una causa civile assorbe risorse diverse rispetto alla consulenza per la predisposizione di un contratto;
  • e così via.

Oltre a valutare in modo più corretto i costi reali di una commessa, tale approccio consente di avere, a fine anno o con la periodicità stabilita, un bilancio gestionale consuntivo con voci di costo molto più significative ed interessanti rispetto a quelle del normale bilancio civilistico.




Abbattere i costi fissi o ridurre realmente tutti costi?

Businessman Using Laptop in Waiting RoomOggi molte organizzazioni stanno perseguendo sfrenatamente la riduzione dei costi fissi e di struttura senza preoccuparsi della redditività e della competitività attuale – e soprattutto futura – dell’impresa.

Ridurre i costi fissi, o meglio abbatterli, spesso significa tagliare i costi, ovvero cercare di spendere molto meno o non spendere affatto per determinate voci di spesa.

La spinta viene non solo dalla riduzione degli ordini e dei contratti, in valore piuttosto che in numero, ma soprattutto dalla scarsa liquidità e disponibilità finanziaria, che non consente di onorare nei tempi previsti tutti i pagamenti.

L’equazione che regge tutti gli equilibri è semplice

Margine Operativo Netto (Guadagno dell’impresa) = (Ricavi – Costi variabili) – Costi fissi.

Al ridursi dei Ricavi e – in misura proporzionale dei Costi Variabili – si riduce la differenza, indicata volutamente fra parentesi (anche se algebricamente inutili) al fine di evidenziarla. Tale differenza, nota come Margine Operativo Lordo (M.O.L.) è il motore di tutta l’impresa, il carburante che le permette di svilupparsi e, talvolta, di sopravvivere.

Evidentemente al ridursi del M.O.L. occorre contenere i costi fissi o di struttura se si vuole mantenere l’azienda in utile o perlomeno in pareggio.

Il problema è che la ricerca dissennata della riduzione dei costi fissi, attraverso l’eliminazione di servizi indispensabili alla crescita ed allo sviluppo dell’impresa, non fa altro che incrementare l’inefficienza dei processi e, quindi, alzare i costi variabili, riducendo conseguentemente il MOL.

RiunioneQuello che capita sovente, infatti, è l’eliminazione o la riduzione di quei costi che sono associati alla formazione del personale, all’Information Technology, alle consulenze organizzative ed a tutti quei servizi finalizzati a cercare di “fare le cose meglio ed in meno tempo”. È evidente che la riduzione o l’eliminazione di questi servizi comporta non solo la fisiologica incapacità di migliorare l’efficienza dei processi, ma anche l’insoddisfazione delle risorse umane (interne ed esterne, quali collaboratori a contratto e consulenti) con conseguente ulteriore peggioramento dell’efficienza dei processi, primari e secondari, in quanto il personale poco motivato notoriamente rende meno.

Se il MOL (quello vero, non necessariamente quello del bilancio d’esercizio, spesso troppo vincolato a logiche contabili e fiscali e, quindi, poco realistico) è ridotto, allora occorre cercare di aumentarlo migliorando l’efficienza dei processi, magari anche incrementando temporaneamente i costi fissi con investimenti mirati sul medio-lungo periodo, finalizzati anche ad aumentare i ricavi. Su quest’ultimo obiettivo è bene precisare un aspetto importante: aumentare i ricavi cercando di ridurre i prezzi (e quindi i margini), insieme al taglio dissennato dei costi fissi, può provocare un effetto estremamente pericoloso: ridurre la qualità del prodotto e del servizio e, conseguentemente, rischiare di perdere i clienti.

Viceversa l’incremento dei ricavi si può cercare di ottenere migliorando la qualità di prodotti e servizi, attraverso gli investimenti sul miglioramento dei processi di cui si diceva poco sopra.

La crisi ha portato alla scomparsa di molte imprese per cui, anche se le opportunità del mercato si sono ridotte, i competitor non sono necessariamente aumentati ed occorre puntare anche al mercato estero, se possibile, ove la qualità è strettamente legata alla competitività.

La direzione, i manager e soprattutto i controller, quindi, dovrebbero maggiormente focalizzarsi sulla parte economica della gestione, sebbene non possano ignorare quella finanziaria.

Oggi, però, le direzioni delle aziende, soprattutto le amministrazioni delle piccole imprese, hanno spesso in mente solo la liquidità disponibile per sopperire alle esigenze correnti e future. Purtroppo spendono troppo tempo a cercare di barcamenarsi fra pagamenti ed incassi reali o presunti.

Spesso la pianificazione del cash-flow è alquanto difficoltosa: dati presunti, forse neanche probabili, vengono considerati come quasi certi…ed ecco che salta il banco: non vengono pagati regolarmente i fornitori, talvolta anche i dipendenti, la banca chiede di rientrare, ecc.

Ecco che il Controller (interno o esterno che sia) dovrebbe focalizzarsi sui risultati economici, sui margini reali e sulla redditività presente e futura dell’impresa, per il bene della stessa. Perché se la redditività c’è (ovvero se il MOL è discreto) i problemi finanziari si possono risolvere e, forse, qualcuno darà credito all’impresa se vede un’azienda sana che guadagna.

Viceversa distogliere l’attenzione e le risorse dai dati economici, impegnare risorse eccessive sugli aspetti finanziari e, soprattutto, privilegiare questi aspetti sopra ogni altro, genera inefficienza fa perdere redditività.

Un’azienda che non guadagna, o guadagna troppo poco, ha margini ridottissimi (guardiamo ROI, MOL, EBITDA se i bilanci sono realistici, oppure gli indicatori economici e di misurazione delle performance dei processi) ed è destinata ad una brutta fine, anche perché nessuno – giustamente – vorrà darle credito.